Il 20 settembre, alle ore 19.00 la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria ha organizzato in occasione delle “Giornate Europee del Patrimonio” nel Museo Archeologico Nazionale di Locri, un Convegno “Luci e Voci nel Parco Archeologico di Locri”
durante questa manifestazione è stato presentato il volume il “Tesmophorion di Locri Epizefiri” curato da Rossella Agostino e Margherita Milanesio edito da Laruffa. Appena arrivati bisogna dire, per onor del vero che l’aspetto del Museo da quando io lo frequentavo, alcuni anni fa, per partecipare a Convegni e per la mia passione della fotografia , è notevolmente mutato in meglio. La disposizione dei reperti archeologici, che sono aumentati e sono disposti in maniera diversa la cura del Museo, tutto va a favore del modo di dirigere della Dr.ssa Rossella Agostino Archeologa dei Beni Archeologici, che ha diretto, in questi ultimi anni, il Museo in modo impeccabile, perché le cose che fa, Le fa sempre con grande passione e ne dobbiamo dare atto,
infatti grazie al contributo dato dalla Temi Energy di Locri, il Parco al calar della sera si presentava illuminato nelle parti più importanti, mettendo in mostra i monumenti e i posti più significativi tra questi quelli di cui noi ci occuperemo il Thesmophorion un’area dedicata al culto di Demetra,
scoperta da Orsi nel 900 e studiata negli anni 90 quando era Direttore Claudio Sabbione coadiuvato dall’archeologa Margherita Milanesio. Presenza autorevole al Convegno quella del Prof. Mario Torelli, archeologo di fama nazionale. Professore presso l’Università di Perugia di Archeologia e storia dell’arte greca e romana Archeologo, Accademico dei Lincei, esperto e studioso del culto di Demetra, ha trattato l’argomento.”Eleusi a Locri: considerazioni a margine dell’edizione dello scavo di Thesmophorion”. L’uditorio era stracolmo di persone.
Autorità in questo campo il Prof. Universitario Felice Antonio Costabile,
la Dr..sa Roberta Schenal etc.
All’inizio dei lavori sono intervenuti la Dr.ssa Simonetta Bonomi, Soprintendente per i Beni Archeologici della Calabria, Anna Sofia Assessore alla Cultura del Comune di Locri
e Rossella Agostino che ha introdotto prima il Dr. Claudio Sabbione già Direttore Archeologo della Soprintendenza e dopo la Dr.ssa Margherita Milanesio, infine c’è stato l’intervento del prof. Mario Torelli, cercherò adesso di entrare nel vivo della tematica.
Intervento di Claudio Sabbione, una testimonianza unica sui ritrovamenti fatti nel museo che merita di essere riportata cosi come Lui l’ha descritta in questa splendida serata Museale.
La zona di cui parliamo questa sera è la zona all’esterno della cinta muraria verso l’angolo orientale che essa traccia sul terreno, è una posizione vicino alla strada antica una posizione all’esterno delle mura e in prossimità ad una strada di accesso alla necropoli che rientra nelle caratteristiche di altri santuari del mondo greco.
La cosa paradossale di questo sito è legato al fatto che qui si svolse la seconda campagna di scavo di Paolo Orsi a Locri nel lontanissimo 1890. In questa campagna non si è avuto una cognizione scientifica sufficiente a valutarne gli aspetti fino a tempi recentissimi, tanto che lo scavo recente a circa un secolo di distanza dal primo è ripartito praticamente da zero, una situazione abbastanza singolare, l’unica memoria rimasta incircolante di questo scavo cui Paolo Orsi non aveva dato una pubblicazione, se non un cenno estremamente sintetico, per cui traspare un’incertezza di Orsi nell’interpretazione del sito parla di scavi di reperti di terracotta di depositi, rimane Lui stesso evidentemente incerto, i materiali ritrovati furono subito trasportati al Museo Nazionale di Napoli e questo fece si che anche nei successivi periodi di attività di Orsi a Locri non fu a Lui possibile riprendere lo studio di questi materiali. Solo nella pianta scala 1:5000 di tutta l’area urbana che Orsi fece tracciare in quegli anni e qui vediamo in dettaglio l’angolo delle mura e questi piccoli segni abbastanza enigmatici dell’indicazione depositi di terrecotte,
praticamente a che cosa poi corrispondesse rimaneva enigmatico fino a tempi recenti. Il terreno fu comunque acquisito dallo Stato, questa area gialla è l’esproprio realizzato negli anni 60 relativo al tempio di Marasà e all’area destinata alla realizzazione del Museo fu acquisito anche questo settore non perché si avesse in quel momento una precisa conoscenza dell’importanza archeologica ma quasi come area di rispetto della cinta muraria che passava lungo questa linea, però meno male che l’area fu acquisita e rimase un prato con olivi fino al 1989
quando l’intervento che decisi di avviare era rivolto non all’esplorazione del sottosuolo ma alla sistemazione del percorso
di accesso al tempio di Marasà che da tempo immemorabile nell’uso dei contadini passava al di sopra dello spazio costituito dai resti della cinta muraria. Però chi passava lungo il percorso di accesso al Tempio calpestava le mura e non si rendeva conto della loro presenza, per cui si decise di fare un diverso percorso attraverso l’area a una 15na di mt. al difuori delle mura in modo che anche le strutture risultassero meglio fruibili ai visitatori e naturalmente questo ci ha permesso di andare a vedere cosa fosse questo enigmatico deposito di terrecotte. Intravisto da Paolo Orsi, l’inizio della pulizia dell’area è l’inizio di quello che poi diventò il successivo percorso e vediamo fin dall’inizio si mise in luce intanto la cinta muraria, l’angolo orientale delle mura,
subito comparsero altre strutture al difuori della città che non avevano a che fare con la cinta muraria e che potevano significare qualcosa e immediatamente ci si rese conto che alla fine della prima campagna condotta con Roberta Schenal e Margherita Melanesio che poi proseguirono per anni l’esplorazione si mise
in luce una grande torre quadrata all’angolo delle mura e molte altre strutture all’esterno della città soprattutto a contatto con la stessa torre,
un grosso deposito votivo colmo di piccole tazze miniaturistiche offerte votive perfettamente strutturate come deposito che ci indico con enorme chiarezza che eravamo difronte non a scarichi ma un santuario perfettamente strutturato di cui ancora conoscevamo ben poco.
Dopo la fine della prima campagna andando a cercare nell’archivio della Soprintendenza tracce del lavoro enigmatico di Paolo Orsi si rintracciò la mappa dello scavo del 1890 . Questi quadratini sono le piccole trincee di scavo per salvaguardare la presenza di un vigneto molto pregiato a cui il proprietario del terreno teneva in modo particolare e però si doveva rispettare per non dover pagare indennizzi spropositati e questo modo di procedere impediva praticamente a Orsi una valutazione complessiva dell’area, però mise in luce alcuni grossi depositi di cui diede questo dettaglio dei depositi delimitati da tegole infissi nel terreno e colmate da file di tazzine, poste nel terreno infilate le une dentro le altre secondo un modo di depositare le offerte votive che allora non avevamo mai visto ma che abbiamo poi ritrovato nel terreno nel proseguo degli scavi. Quindi il lavoro prosegui negli anni successivi anche con la scoperta di un altare, tegole con tubi fittili verticali per le offerte, la sovrapposizione di tazzine impilate e ancora un’articolazione delle strutture del Santuario dal 6° al 3° secolo a.C. ma fin dal secondo anno di scavo, cominciammo ad avere indizio sulla possibile divinità qui presente da questo frammento di tegola con parte di un bollo impresso con parte del nome desmophoros…….l’appellativo di Demetra cioè di una divinità il cui culto era largamente praticato in numerosi santuari in tutto il mondo greco. Questo dava subito un risalto particolare a questo sito.
Lo scavo dal 95 si fermò per alcuni anni per problemi di fondi della soprintendenza, ma qui scattò la tenacia l’impegno di Margherita Milanesio nel cercare altre tracce di archivio e in questo schizzo ricavato da uno dei taccuini di Orsi , uno schizzo abbastanza enigmatico, ma non per l’occhio di Margherita, queste strutture murarie viste da Orsi nel 1890 le avevamo ritrovate anche con i nostri nuovi scavi, ma soprattutto c’era un’indicazione di altre strutture murarie nella zona centrale dell’area esplorata da Orsi all’epoca e non ancora toccata dallo scavo. C’era però una complicazione ad arrivare in quest’aria per la presenza di quel sentiero realizzato per l’accesso al tempio di Marasà. Margherita insistette affinchè il sentiero fosse spostato e si potè affrontare lo scavo della zona centrale e vennero in luce dal 1999 le strutture già intraviste da Orsi, trovando che non erano strutture separate ma appartenevano ad un unico edificio e poi si mise in
luce l’edificio centrale del santuario, quindi l’altare difronte ad esso a oriente, questi sono le parti centrali del santuario con la nota spettacolare sequenza di tazzine impilate da cui nel 2003 è nata l’esigenza di preservare nel tempo questo singolarissimo modo di depositare le offerte votive e si riusci con una impresa di Roma e tutto il personale di Locri una complessa attività di calco e strappo dei materiali depositati, operazioni abbastanza complicate di trasporto, di ricollocazione dei reperti originali per la loro musealizzazione fino al punto dell’aspetto attuale con le tettoie che oggi proteggono il santuario dando un’aspetto meno agreste, indispensabili per la conservazione dei siti.
Dr.ssa Margherita Milanesio, la Dr.ssa che ha avuto un ruolo importante nella seconda parte degli scavi ha descritto i luoghi, i ritrovamenti e la disposizione del santuario
Il Thesmophorion è un santuario in cui veniva venerata Demetra Thesmophòros (portatrice delle leggi), dea della terra e del grano, per la sua funzione civilizzatrice, di fondatrice dell’agricoltura, custode della fertilità e protettrice delle istituzioni civili e familiari.
Questo tipo di santuario si trova sempre in un’area esterna a quella urbana, di solito prossima alle mura; all’interno del santuario si svolgevano delle feste autunnali (le Tesmoforie) riservate esclusivamente alle donne.
Il culto tesmoforico è connesso alle vicende mitiche del rapimento di Persefone, figlia di Demetra, da parte di Hades, alla carestia provocata dalla madre in lutto per la perdita della figlia e al loro ricongiungimento, con la conseguente rinascita della natura.
Le Tesmoforie duravano tre giorni; nella prima giornata detta kàthodos- ànodos (discesa- salita) si svolgeva la processione sacra che dalla città giungeva al santuario e le donne recuperavano da cavità sotterranee (mégara) i resti di porcellini che erano stati gettati l’anno precedente e lasciati a putrefare.
Nel secondo giorno, nestèia (digiuno), le donne osservavano l’astinenza alimentare e sessuale, condividendo così il dolore di Demetra per la scomparsa della figlia,soggiornando all’interno di tende (skenài) e dormendo su giacigli di foglie (stibàdes). Nel terzo giorno, calligéneia (creatrice di cose belle), si celebrava il ricongiungimento tra madre e figlie e si consumava un banchetto collettivo.
Le Tesmoforie si svolgevano solitamente in autunno e avevano una durata variabile in base alla città in cui venivano effettuate. Il rituale era interdetto agli uomini. Con queste feste si celebrava Demetra che, in lutto per la figlia, rapita e portata nell’Oltretomba dal dio Ade come sua sposa, non assolse per molto tempo al suo ruolo di divinità della raccolta e della crescita.
Ad Atene, le Tesmoforie erano aperte solo alle donne di condizione libera, sposate con cittadini ateniesi. Si svolgevano prima della semina e duravano tre giorni:
Il primo giorno (kathodos e anodos, cioè discesa e salita) le donne si recavano nel santuario, detto Thesmophorion.
Il secondo giorno (nesteia, cioè digiuno) le donne digiunavano per purificarsi e rimanevano nel santuario.
Il terzo giorno (kalligenèia, cioè bella nascita) le donne offrivano a Demetra cereali, vino, formaggio, olio e altri cibi,
cucinavano la carne degli animali sacrificati, banchettavano, si scambiavano motti osceni e si flagellavano. Il rituale prevedeva anche che di notte le carcasse degli animali sacrificati fossero gettate in grotte o burroni, forse a indicare la discesa nell’Oltretomba.
Paolo Orsi portò a Napoli 16.000 coppette votive. Noi abbiamo trovato 4000 coppette e anforette. Abbiamo trovato 3 edifici allineati, uguali la dr..sa continua sulla disposizione degli edifici., tutti adibiti a particolari rituali, c’erano delle panchine intonacate.
L’edificio principale è quello centrale. sia all’interno che all’esterno i locali furono nel tempo ristrutturati. Nel tempo furono
rasi al suolo e dopo riscostruiti nello stesso posto. Descrive tutti gli edifici in modo particolare. Fa vedere un oggetto di fattura particolare un piccolo serpente. Davanti all’edificio principale c’è un altare all’inizio è un piccolo spazio delimitato da pietre.
Hanno trovato le offerte votive e resti di ossa di animali macellati. Dietro l’edificio c’è un luogo per un rituale dove venivano in un posto sacro dei liquidi e messi dei maialini a putrefare dentro cavità. Si donava la vita alla Dea e lei la restituiva attraverso la fertilità della terra.
La prima fase di frequentazione del santuario si colloca dalla metà del VI all’inizio del V secolo a.C. ed è caratterizzata da un recinto (témenos) tangente le fortificazioni della città, costituito da muri in grossi blocchi, che circondano un’area di m. 50 x 80, all’interno del quale, dove erano grandi depositi nelle fosse di materiali votivi, in alcuni casi foderate e ricoperte da lastre di tegole o ciottoli.
All’inizio del V secolo a.C. è stato costruito un piccolo edificio sacro (m. 7.65 x 9.20), un sacello , con ingresso ad est; poggiati sui muri perimetrali, in questo posto si trovano basse panchine intonacate sulle quali venivano esposte le offerte votive donate alla dea dalle fedeli.
Davanti all’ingresso del sacello, ad est, c’è un altare (eschàra), al centro del santuario, luogo di sacrificio, dove arde il fuoco in questo posto si bruciano le carni di animali per devozione a Demetra e si mangiano arrostendole quelle per le libagioni rituali.
L’altare racchiude le offerte votive più significative per la dea. In questo posto sono stati trovati depositi di ceramica ( coppette, kotylai ), e gruppi di foglie in metallo (100 in ferro, 1 in bronzo e 12 in argento).
A nord del sacello si trova un edificio rettangolare allungato, il cosiddetto Edificio B (m. 14 x 5), un portico (stoà ). Verso la metà del IV secolo a.C., in occasione della ristrutturazione della cinta muraria di Locri Epizefiri, il santuario fu ristrutturato. Il piano di calpestio venne innalzato di 30 centimetri circa, il sacello e la stoà furono ricostruiti e furono realizzate altre strutture: un nuovo altare, un grande deposito circolare e un pozzo sacro.
Il sacello e’ stato completamente rinnovato, le fondazioni rialzate e al suo interno sono state realizzate nuove banchine e un piccolo vano, al fine di tenere le offerte più preziose. A ridosso dei muri nord e sud del sacello e in tre lati dell’altare sono state trovate oltre 1000 coppette impilate (kotylai), disposte in file parallele.
A ridosso delle mura, protetto dall’imponente torre angolare, nella seconda metà del IV secolo a.C. e’ stato costruito un piccolo recinto, con dentro un singolare altare e quattro depositi votivi.
L’altare era formato da una cassa di tegole dove emergevano quattro tubi destinati alle libagioni rituali, che venivano effettuate per mezzo delle coppette (kotylai) e dei vasetti miniaturistici (hydriskai ) rinvenute in un deposito attiguo (deposito E).
Intorno alla fine del IV sec. a.C., tra il recinto e l’altare di cenere , viene edificato un grande deposito votivo circolare,di m 6.50 di diametro, delimitato da blocchi e con una copertura di ciottoli piatti, che conteneva numeroso materiale votivo, fra cui vasetti miniaturistici (hydriskai) e coppette (kotylai) impilate.
Verso la metà del IV sec. a.C. nello spazio dietro il sacello è stata realizzata un’area sopraelevata, costituita da un lastricato in ciottoli su cui poggiano due grossi blocchi circolari di pietra, il più grande di questi, munito di prese per il sollevamento, nascondeva un pozzo sacro, profondo m. 1,80, con imboccatura in pietra e ghiere in terracotta. All’interno del pozzo sono stati rinvenuti resti di sacrifici , piccole brocche (olpai) e vasi per olio (askòi).
Il lastricato che circondava il pozzo sacro, probabilmente la cavità in cui venivano lasciati a putrefare i maialini (megaron), veniva usato per i sacrifici, il luogo era pieno di coppette (kotylai) impilate, vasetti miniaturistici (hydriskai) e fossette piene di cenere e carboni.
Prof. Mario Torelli
Prima dell’intervento la dr.ssa Bonomi lo ha ringraziato per essere a Locri essendo Il Prof. un’autorità nel campo archeologico in Italia, Lui ha ringraziato tutti e dice che 40 anni prima ha esplorato, in maniera maniacale questo posto insieme a un grandissimo storico, amico fraterno, Domenico Mussi con il quale ha firmato la parte degli atti del Convegno di Taranto dove si è discusso della storia politico sociale e religiosa di Locri. Ho accettato di venire a Locri non solo perché pochi anni fa sono venuto per vedere lo scavo insieme agli autori ma perché grazie a queste loro notizie dei ritrovamenti ho potuto inserire per grandi linee quelle che allora mi sembravano queste nuove interpretazioni della funzione del Santuario. Vedo qui questo pinakes, non dobbiamo partire da quello I pinakes di Locri sono tutti collegati ai santuari del luogo naturalmente questo motivo non ha nulla a che fare con il culto della Mannella, quando io ho scritto nel 76 questo saggio, ho scritto Persefone è senza madre, perché non c’era traccia, comincio da questo per dire che le scoperte del gruppo Milanesio Sabbione e altri hanno rivoluzionato questa visione l’hanno rivoluzionata e soprattutto non è che hanno data una notiziola , credo che dobbiamo essere grati alla dr.ssa Agostino che è stata un po la punta della frusta per arrivare a questa edizione il libro del termoforion di Locri è destinato a segnare una svolta nella interpretazione dei complessissimi rituali collegati con il culto di Eusinio e addirittura come vedremo in breve chiarisce molte cose. Il prof. Si è soffermato sui riti, ha esplicitato che il Santuario si avvaleva di riti con fiaccole. Eleusi diventa un grande Santuario ed è un grande Santuario della speranza, perciò e da classe subalterna. Dunque la stoà è una stoà con doppia funzione da qui viene la fiaccola è il luogo dove venivano esposti i doni. C’è anche la panchina dove potevano sedersi le devote ospitare offerte vasi cibo etc a questo punto il quadro è abbastanza chiaro mentre i nobili frequentavano un altro tempio. Dopo essersi soffermato sui riti con una relazione altamente professionale ha concluso dicendo che oggi grazie al lavoro di Sabbione possiamo incominciare a studiare di nuovo Eleusi.
Concludo questo lavoro dicendo che è stato un convegno interessantissimo e che comunque per averne contezza è necessario ricorrere alla lettura del libro.
Locri, 20.9.2014
daniele dattola
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