Ho letto questo articolo che mi piace pubblicare per quelli che vogliono ascoltare e non al solito offendere cercando di creare cagnara perché nella confusione sappiamo navigare tutti….leggetelo con attenzione lo scenario potrebbe essere quello di Melito, Saline e paesi viciniori, non lasciando nemmeno i due grandi centri di Reggio Calabria e Messina…l’articolo è apparso su :
Repubblica del 5 marzo 2012
“SCENARIO AGRICOLTURA”
“Polvere di carbone sui campi di Cerano. Polvere nera sulle mani, nelle case, sui panni stesi ad asciugare. Polvere nera sui campi fertili, coltivati un tempo a vite, carciofi, ulivi, che una volta davano da mangiare ai contadini e ai loro padri. Carbone forse anche nel sangue. Negli oltre quattrocento ettari di terre all’ombra della centrale Federico II di Cerano non si può più coltivare ormai da cinque anni per effetto di una ordinanza che ha intimato la distruzione dei frutti dei quali è disposto il divieto assoluto di commercializzazione. Ma anche l’esilio coatto degli oltre sessanta agricoltori.
e su IL REPORTAGE di SONIA GIOIA Coltivazioni proibite vicino alla centrale un articolo con lo stesso argomento)
L’ombra del carbone sui terreni contaminati
Una pianta di carciofi cresciuta nei terreni ‘contaminati’ (C’è la foto di una povera pianta di carciofo distrutta dal carbone)
Quattrocento ettari avvelenati da arsenico, berillio e altri metalli pesanti. Sono le aree agricole a ridosso della grande centrale termoelettrica Federico II di Cerano, a pochi chilometri da Brindisi. Ora un’inchiesta della procura salentina cerca di accertare la responsabilità dell’impianto nell’inquinamento delle terre. La perizia disposta dai pm non lascia dubbi: “E’ la principale via di contaminazione”. Ma uno studio commissionato dall’Enel, proprietaria del sito, parla di “origine naturale”CERANO (BR) – Polvere di carbone sui campi di Cerano. Polvere nera sulle mani, nelle case, sui panni stesi ad asciugare. Polvere nera sui campi fertili, coltivati un tempo a vite, carciofi, ulivi, che una volta davano da mangiare ai contadini e ai loro padri. Carbone forse anche nel sangue. Negli oltre quattrocento ettari di terre all’ombra della centrale Federico II di Cerano non si può più coltivare ormai da cinque anni per effetto di una ordinanza che ha intimato la distruzione dei frutti dei quali è disposto il divieto assoluto di commercializzazione. Ma anche l’esilio coatto degli oltre sessanta agricoltori che su quei campi non possono lavorare più di 180 giorni all’anno, pena il rischio di contaminazione da arsenico, berillio, vanadio, metalli pesanti dall’alto potenziale tossico rilevati in quantità superiori alle soglie considerate non pericolose per la salute. Come se per tenere in vita la terra bastassero cure a intermittenza.
Da un lustro i contadini di Cerano chiedono di sapere cosa abbia avvelenato i campi e forse loro stessi. Lo hanno chiesto tramite un esposto indirizzato alla procura di Brindisi dalla quale è scaturita una inchiesta che solo oggi giunge al capolinea. Il pubblico ministero Giuseppe De Nozza ha notificato di recente l’avviso di conclusione delle indagini a carico dei quindici indagati, fra dirigenti Enel e imprenditori addetti al trasporto del carbone che alimenta la centrale, accusati di getto pericoloso di cose, danneggiamento delle colture e insudiciamento delle abitazioni. Sono le accuse che gravano tra gli altri sul direttore della centrale, i responsabili dell’area Ambiente e dell’impianto trasportatore. L’azienda, contattata da Repubblica, non rilascia dichiarazioni, ma in una nota si dice fiduciosa: “In merito alla decisione della Procura di Brindisi, Enel – si legge – nella piena convinzione di aver sempre operato nel rispetto delle leggi e nell’interesse della collettività, attende con fiducia i successivi sviluppi”.
Le conclusioni del pubblico ministero poggiano su quelle del perito al quale è stato chiesto di verificare se è vero oppure no che quella polvere nera sia polvere di carbone. Nessun dubbio per il consulente tecnico della procura Claudio Minoia, direttore del laboratorio di misure ambientali e tossicologiche della Fondazione Maugeri di Pavia, nonché responsabile della scuola di specializzazione in Medicina del Lavoro dell’ateneo pavese: la fonte di contaminazione di terreni, colture, falda acquifera e atmosfera è la centrale termoelettrica, non i camini delle villette come pure qualcuno ha sostenuto, né il traffico automobilistico. E’ il vento che solleva il pulviscolo dal deposito (scoperto) del combustibile, ammantando le colture: “Il consulente tecnico ritiene – scrive Minoia – che in aree prospicienti la centrale Federico II ubicata a Cerano si siano determinate, anche se non con carattere di continuità ma piuttosto come diretta conseguenza di fenomeni eolici, dispersioni significative di polveri di carbone dal deposito carbonile. Questa ha sicuramente rappresentato la principale via di contaminazione delle aree prospicienti”.
E’ esattamente quello che aveva sostenuto la Asl di Brindisi nel 2007, in una nota propedeutica al divieto di coltivazione emanato dal sindaco, avvertendo dei pericoli per la salute se ortaggi, frutta e polveri fossero arrivati dai campi alle tavole dei brindisini: “…è più che ragionevole sospettare la possibilità che le sostanze chimiche riscontrate possono entrare nel ciclo biologico di produzione sia vegetale che animale e, conseguentemente, passare nella catena alimentare con grave rischio per la salute dei consumatori”.
Le stesse conclusioni a cui giunge l’equipe di ricercatori ai quali nel 2009 il Comune di Brindisi aveva commissionato un’analisi di rischio, effettuata dall’Università del Salento e Arpa Puglia. Le analisi su prelievi e campionamenti rilevano la presenza di metalli pesanti nell’area, stigmatizzando come pericolosa per la salute dei coltivatori l’esposizione superiore ai sei mesi all’anno. Lo studio conclude individuando come “fonte potenziale più probabile” delle emissioni “la centrale Enel Federico II, con particolare riferimento alla gestione del carbonile”. Nello stesso anno, un dossier divulgato da Medicina democratica avverte: “L’emissione di anidride carbonica è quindici volte superiore alla soglia nella centrale di Cerano. L’arsenico, il cadmio, il cromo, gli idrocarburi policiclici aromatici e il benzene, tutti cancerogeni in grado di provocare diversi tipi di tumori, superano abbondantemente la soglia”.
A tutt’altre deduzioni giunge invece uno studio commissionato da Enel all’istituto di ricerca Erm (Environmental resources management spa, ndr), sempre nel 2009, secondo cui “le concentrazioni rilevate sono di origine naturale”. “Lo studio ha dimostrato – scrivono i ricercatori Erm – che la concentrazione dei metalli nei terreni non è riconducibile ad alcuna sorgente puntuale e/o specifica attiva, nel presente e/o nel passato, sull’area di interesse. Tale concentrazione è invece riconducibile a quanto viene universalmente riconosciuto, anche da Apat, come valore di fondo o fondo naturale”. Nessuna relazione, dunque, fra la mole della centrale elettrica, il deposito-carbonile scoperto e la dispersione di polveri di carbone su carciofeti e vigneti andati distrutti. Le conclusioni di Erm vengono supportate e avvalorate da tre docenti di altrettanti atenei italiani, Giacomo Lorenzini dell’Università di Pisa, Pierluigi Giacomello dell’Università di Roma e Luigi De Bellis, a capo del dipartimento di scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento.
Strano caso: l’università del Salento giunge dunque sul tema a esiti del tutto in antitesi. Anzi, è dalla stessa cattedra di Fisiologia vegetale dell’ateneo leccese che arrivano conclusioni opposte. Nello studio Erm-Enel il professore titolare del corso, Luigi De Bellis, dice che no, il livello di contaminazione da arsenico è del tutto nella norma. Nell’analisi di rischio condotta insieme ad Arpa, la stessa cattedra (sulla carta, altro ricercatore) dice che la quantità di arsenico è al limite del livello di guardia e che prudente per la salute dei lavoratori agricoli sarebbe non esporsi più di sei mesi all’anno. Una delle incognite alle quali dovrà rispondere il processo che verrà.
Quel che è certo è che, nel frattempo, al danno si è aggiunta la beffa. Nel giugno del 2009 Enel ricorre al Tar, per scongiurare la pioggia di richieste risarcitorie provenienti dagli agricoltori, sostenendo la illegittimità della ordinanza, fondata su termini “possibilistici ed eventuali” di nessuna evidenza scientifica. La magistratura amministrativa dà ragione al colosso energetico per una ragione su tutte: l’analisi di rischio commissionata ad Arpa e Università del Salento è stata condotta in ritardo, due anni dopo l’emanazione della ordinanza sindacale, il percorso avrebbe dovuto essere esattamente contrario. Potenzialmente insomma, nei terreni di Cerano oggi si potrebbe coltivare, ma se lo fai la Asl ti trascina in tribunale, come è successo a uno degli agricoltori. Uno di quelli che si sono rifiutati di accettare soldi dal colosso energetico in cambio della rinuncia all’azione penale.
Il punto resta un altro. I prodotti della terra maledetta non li vuole più nessuno, e i contadini stessi su quei campi hanno paura di lavorare, per timore di morire avvelenati dal cancro. Psicosi. Forse!!!.
Saline Joniche stessa cosa con l’aggiunta della distruzione del bergamotto e dei suoi derivati, unica coltivazione doc della costa jonica meridionale. (Questo non è lavoro???)
SCENARIO SANITA’
Carbone, a lezione di spagnolo
Qualche mese fa alcuni ricercatori spagnoli dell’Istituto Nazionale di Epidemiologia di quel Paese si sono assunti il compito di verificare se in prossimità di 57 impianti presenti in Spagna, dove si bruciano combustibili fossili, vi siano stati più morti per tumori del polmone, del laringe e della vescica di quanti sarebbe stato giusto attendersene in base alla media riscontrata in tutta la nazione.
Nel loro lavoro, pubblicato sulla rivista Science of Total Environment, attraverso metodi statistici molto sofisticati, hanno analizzato oltre 200.000 decessi per i tre tipi di tumore anzidetti avvenuti nel periodo 1994-2003.
Sono stati presi in considerazione impianti che fossero in funzione prima del 1990 in modo che fosse trascorso un tempo di esposizione sufficiente.
Dalle centrali spagnole sono fuoriusciti nel 2001 quantitativi dichiarati di ossido di carbonio, anidride carbonica, biossido di azoto, biossido di zolfo, arsenico, cadmio, cromo, piombo, nickel, cloro, fluoro, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), polveri sottili (PM10), diossine e furani.
I risultati riportati nello studio descrivono un maggior di rischio di morte a causa di questi tre tipi di tumore per la popolazione che vive in prossimità degli impianti.
Il rischio è ancora maggiore per il tumore del laringe e della vescica quando il combustibile usato è il carbone.
Il fenomeno risente della distanza dall’impianto, cioè il rischio diminuisce nella popolazione a maggior distanza dalla centrale.
Gli autori sottolineano che alcune delle sostanze emesse sono cancerogeni “certi” riconosciuti dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), come l’arsenico, il cadmio, il cromo, le diossine e gli IPA, altre sono cancerogeni dichiarati “possibili” come il piombo, il nickel ed i furani.
Inoltre i ricercatori aggiungono che le emissioni provenienti dagli impianti a carbone contengono elementi radioattivi, principalmente l’uranio ed il torio, prodotti dalla disintegrazione di radium, radon, polonio, bismuto e piombo e che le popolazioni residenti nei pressi di questi impianti possono essere esposte, secondo un rapporto del National Council for Radiation Protection, un’agenzia governativa degli USA che si occupa della protezione della popolazione dalle radiazioni, a dosi equivalenti 100 volte quelle misurabili nei pressi di una centrale nucleare, incidenti a parte, aggiungiamo noi.
Nella stessa ricerca si riporta che secondo altri autori gli impianti che impiegano carbone in tutto il mondo sono i maggiori emettitori di radioattività nell’ambiente.
È molto interessante inoltre quello che i ricercatori spagnoli dicono sul biossido di azoto, inquinante emesso in grandi quantità dagli impianti in questione.
Sebbene la IARC non riconosca questa sostanza come capace di provocare il cancro, numerose evidenze in senso contrario originano da studi su modelli animali. Tuttavia la IARC riconosce invece che gli aerosol di acido solforico, emissioni secondarie degli stessi impianti, si sono dimostrati in grado di provocare cancro al polmone in gruppi di lavoratori fortemente esposti.
Il biossido di azoto sarebbe comunque in grado di provocare aberrazioni cromosomiche e di interagire con gli IPA nella genesi del tumore al polmone.
Nulla di nuovo, si dirà. Si tratta di evidenze già note. Ci sembra però importante che un organismo governativo di uno Stato europeo svolga ed aggiorni studi così complessi sulla salute della popolazione.
Sarebbe interessante che fossero indagati anche gli effetti non tumorali degli inquinanti, come quelli sul cuore e sui polmoni.
In ogni caso, “repetita iuvant”, soprattutto per quanti hanno una memoria debole o fanno finta di non comprendere.
Maurizio Portaluri
Direttore della Unità Operativa di Radioterapia dell’Asl Brindisi. Esperto in Oncologia Clinica e di Laboratorio. Ricercatore associato del CNR, impegnato nella ricerca sui tumori professionali e nella prevenzione oncologica negli ambienti di vita e di lavoro. Autore di numerose pubblicazioni nel campo dell’oncologia e dell’epidemiologia.
SCENARIO LAVORO:
Per quanto riguarda il lavoro Vi riporto qui uno stralcio di articolo apparso sul web da “IL DISPACCIO”
sabato 21 aprile 2012 – pagina web
SALINE IONICHE: IL GRANDE BLUFF DELLA CENTRALE A CARBONE !!! UN INTERESSANTE ARTICOLO DI ALESSIA STELITANO.
Un miliardo di euro, (forse l’ipotesi di investire un miliardo di euro ha già iniziato ad avere effetto sulla mente di taluni individui dell’area grecanica?) 1.320 megawatt di potenza, 300 posti di lavoro promessi, 140 quelli effettivamente disponibili a regime. Sono questi i numeri della centrale a carbone che la Sei-Repower ha progettato per Saline Joniche (RC): dalla Svizzera alla Calabria per il progetto di uno dei più grossi impianti energetici a carbone dell’intera Europa.
Aggiungo di questi 140 sicuramente diventeranno nella realtà 70 – 80 avremo in cambio di 70-80 posti di lavoro un ambiente distrutto annientato, vale tutto questo a chi? ai facinorosi che inseguono promesse e ai soliti pochi della casta che si arricchiranno alle spalle dei calabresi. Sappiate che se queste sono le condizioni (basta leggere l’ultimo rapporto di Greenpricee sui morti che produce il carbone) vi renderemo la vita difficile allo stesso modo come voi la rendete a Noi.
Infine faccio mio il pensiero di Sua Mestà Paolo Catanoso :”I danni alle persone e al territorio causati dalla centrale a carbone e i posti di lavoro che si perderebbero a causa di essa superano infinitamente i pochi vantaggi temporanei che la centrale porterebbe. Pochissimi si arricchirebbero e come al solito tutti noi ne pagheremo il prezzo. Una volta tanto non sarebbe male fare le cose con un po’ di lungimiranza, anziché con atti di fede nei confronti del primo che viene a promettere favole”.
Melito Porto Salvo, li 18.6.2012
daniele dattola
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