Ricevo e Pubblico questa lettera del Dr. Tito Squillaci da Sierra Leone
La nostra casa è la terra
Cari amici, vi aggiorno sulla nostra situazione e sul problema dell’Ebola che, giustamente, suscita tante preoccupazioni in ciascuno di noi. La settimana scorsa il Cuamm ha inviato un proprio esperto, il dott. Giovanni Putoto, il quale, attraverso visite sul territorio, incontri con autorità sanitarie e operatori di altre ONG, ha analizzato approfonditamente la situazione e i rischi connessi per il personale impegnato sul campo. Basandosi sulla sua relazione, molto circostanziata, la direzione Cuamm ha preso atto che il rischio è molto elevato per chi lavora in prima linea (cioè a contato diretto con i pazienti, come nel mio caso) e ieri ho ricevuto la disposizione di rientrare in Italia (io e Nunziella partiremo il 20).
Qui rimarranno, comunque, 3 operatori sanitari (chirurgo, ostetrica e capo-progetto) ed un amministrativo, per l’attività del centro materno-infantile e per supportare le autorità sanitarie negli sforzi per il contenimento dell’epidemia. Io sarò sostituito da un “medical officer” locale che ha esperienza di pediatria.
Il Cuamm, così come le altre ONG attive in Sierra Leone, aveva già sospeso tutte le attività sul territorio (assistenza a 75 centri salute periferici, programma per il controllo della sifilide, ecc.) e aveva disposto per il proprio personale la riduzione all’indispensabile dei contatti esterni. Negli ultimi tempi, quindi, viviamo tra casa e ospedale, evitando di frequentare il mercato, la chiesa e qualsiasi altro luogo affollato. Fino ad ora, nelle nostre lettere, abbiamo evitato di parlare dell’Ebola o, quanto meno, abbiamo evitato di scendere nei particolari riguardanti il nostro territorio, per non generare preoccupazioni nelle figlie e nei nostri familiari, ma in effetti, la situazione è grave.
Sul piano generale, l’epidemia, per dirla con un eufemismo che circola qui, “è ben lontana dall’essere sotto controllo”, ogni giorno si registrano nuovi casi (il 12 agosto 21 e il 13 agosto 11) e in tutta la Sierra Leone sono coinvolti 11 distretti su 12. Per quanto riguarda il nostro distretto (Pujehun), ci sono 3 focolai accertati e fino ad ora abbiamo avuto 7 morti, 2 dei quali ricoverati nel nostro ospedale generale. Io lavoro nel centro materno-infantile, che è ubicato a circa 200 metri di distanza, e, ovviamente, operiamo in stato di massima allerta, perchè ogni paziente che arriva può essere contagiato. I bambini, inoltre, possono presentare una sintomatologia sfumata o confondente per altre malattie infantili, per cui, nonostante la massima attenzione, c’è sempre il rischio concreto che un caso di Ebola sfugga, con conseguenze, come potete ben capire, gravissime.
Le infezioni nosocomiali, in situazioni come questa, sono purtroppo frequenti ed in Sierra Leone sono morti circa 20 infermieri e 2 medici (tra i quali il coordinatore del programma per il controllo dell’epidemia a Kenema).
Nel nostro ospedale abbiamo introdotto delle misure restrittive, quali la chiusura ai visitatori, un controllo della temperatura all’ingresso per tutti, associato ad un questionario che rileva se ci sono fattori di rischio per l’Ebola. Dentro il reparto accogliamo i nuovi pazienti in una zona separata, ripetiamo la valutazione dei fattori di rischio e ci accostiamo con tutti i presidi protettivi, compresi maschera e occhiali.
Nell’ospedale generale il Cuamm, in accordo con le autorità locali, ha allestito una tenda di isolamento dove vengono ricoverati i casi sospetti, in attesa del risultato del test. In caso di conferma i pazienti devono essere trasferiti a Kenema (in questo periodo di pioggia incessante, circa 3 ore di macchina), dove è ubicato uno dei 2 soli centri deputati alla cura dell’Ebola (l’altro è Kailahun, situato piu’ a nord).
Le unità di isolamento attive per i casi sospetti, in tutta la Sierra Leone, per ora sono solo 3: la nostra (Cuamm) a Pujehun, una di Medici senza Frontiere a Bo ed una di Emergency a Goderich, vicino Freetown. Nella capitale, che pure ha registrato 11 casi, fino ad ora per l’Ebola non c’è nulla, né tenda di isolamento, nè tanto meno un centro di cura.
Sia nel nostro distretto che nel paese in generale, ci si aspetta un aumento del numero dei casi, poiché, considerate l’alta diffusibilità della malattia e le modalità di gestione familiare dei malati, è certo che ogni deceduto lascia dietro di sé una scia di contagiati (per esempio, in un nostro villaggio, dopo il primo caso, sono morti, in rapida successione, altri 4 familiari, i quali, a loro volta, molto probabilmente hanno contagiato altri parenti).
Lo sforzo delle autorità, in questi casi, è quello di individuare tutti i contatti, isolarli presso il proprio domicilio e monitorarli per 21 giorni (cioè il tempo massimo di incubazione della malattia), ricoverando quelli che manifestano sintomi. Molti contatti sfuggono ai controlli e continuano a circolare, ma, per fortuna, diversamente dalla generalità delle malattie virali, l’Ebola contagia solo in fase sintomatica, non nel periodo di incubazione.
Per paura del ricovero (vissuto come un internamento e come luogo nel quale si va a morire), molti ammalati non si presentano presso i centri sanitari, o scappano dagli stessi centri di cura e muoiono nei villaggi in mezzo alla foresta. Per questo motivo, è certo che il numero reale dei morti e dei contagiati è superiore a quello ufficiale e non stimabile con esattezza. Intorno alle città di Bo e Kenema, per le strade, vengono spesso ritrovati cadaveri (positivi per Ebola) e non è chiaro se si tratta di pazienti abbandonati dalle famiglie per paura del contagio o di persone che scappano per paura di essere ricoverate.
Le iniziative messe in campo dalle autorità per contrastare l’epidemia si basano soprattutto sulla sensibilizzazione della popolazione riguardo alla natura della malattia e alle modalità di trasmissione, sull’individuazione e controllo dei contatti, sull’individuazione e monitoraggio di tutti i soggetti con febbre nei territori interessati (con una ricerca casa per casa, grazie all’aiuto di volontari addestrati), su misure generali di riduzione dei movimenti della popolazione (chiusura di mercati, scuole, ecc., con gravi ripercussioni economiche), l’uso della clorina per il lavaggio delle mani in tutti i luoghi pubblici, cordoni sanitari intorno ad alcuni dei villaggi che hanno avuto casi di Ebola e altro ancora. In questi giorni sono stati (finalmente!) isolati i 2 distretti maggiormente colpiti, con posti di blocco e l’introduzione di un pass per entrare e uscire dal territorio.
Sul piano assistenziale, le autorità intendono attivare a breve un centro di trattamento a Freetown, costruire un nuovo centro a Kenema, incrementare il numero delle unità di isolamento nei distretti e hanno dato parere favorevole all’uso dei presidi farmaceutici non ancora registrati, previo consenso informato dei pazienti.
Oggi pomeriggio abbiamo partecipato ad un incontro con il ministro della salute, presso la sede dell’OMS. È emerso che il paese ha bisogno di tutto: personale specializzato, materiale protettivo, materiale di consumo, disinfettanti, ambulanze e altri automezzi, carburanti, ecc..
È evidente che non possono affrontare da soli una tale situazione. Per sconfiggere l’Ebola è indispensabile un impegno a tutto campo della comunità internazionale e un forte movimento di solidarietà (anche nell’interesse degli stessi paesi occidentali). Non dimentichiamo che la nostra casa è la terra.
Questo è il quadro generale della situazione.
Noi partiamo con rammarico, ma riconosciamo che la decisione della direzione Cuamm è ponderata, basata su una valutazione attenta di tutti i risvolti della questione, tesa a salvaguardare la nostra incolumità e a ridurre al minimo indispensabile il numero delle persone esposte al rischio di contagio di una malattia così grave.
Dunque, un abbraccio a tutti voi e… a presto
Sierra Leone, Pujehun
Tito
Ritengo che la decisione del CUAMM sia giusta e ponderata, insistere a lasciarvi li, è troppo rischioso in questa situazione di grande emergenza, quindi arrivederci presto in Italia.
daniele