Oggi la Calabria si presenta come una delle regioni più antiche d’Italia, lunga circa 250 Km., stretta e lunga, tanto che da qualsiasi punto centrale si arriva al mare con distanze non superiori a 50 Km. Fu abitata dagli uomini fin dall’antichità e un’industria litica apparve grazie ad un tipo di uomo più evoluto Homo erectus circa 700.000 anni prima di Cristo. Durante la glaciazione di Riss scomparve ogni forma di vita e l’uomo ritornò in Calabria, nel Paleolitico Medio la cui massima espressione è rappresentata dal “Bos Primigenius”, un toro inciso nella roccia, risalente a 12.000 anni fa, trovato nella grotta del Romito nel comune di Papasidero, roccia che oggi si trova al Museo di Reggio Calabria.
(Grotta del Romito BOS PRIMIGENIUS GRAFFITO RUPESTRE, da internet)
Durante l’era neolitica l’uomo si trasformò da cacciatore ad agricoltore e vennero creati i primi villaggi, che aumentarono via via col passare del tempo.
La Calabria è lambita dal mare Mediterraneo, che è un mare paragonabile ad un grande lago, se non fosse per lo stretto di Gibilterra, che appunto significa mare in mezzo alla terra. Gli antichi popoli del mare, che erano popoli di razze diverse, provenienti da vari continenti Asia, Africa ed Europa, crearono una civiltà multietnica per questo furono detti “Pelagi”, in quanto favorirono una civiltà e una cultura legata al mare. Il culto religioso era legato all’adorazione di una coppia divina, formata dalla Dea delle acque e dal suo sposo il Dio Toro fecondatore. Ci sono delle date importanti che non bisogna dimenticare:
1800 a. C. Invasioni indoeuropee;
1700 a. C. Gli Hyksos invadono l’Egitto.
1600 a. C. Ausoni presenti in Calabria.
1500 a. C. Arrivo degli Enotri in Calabria da cui derivarono i popoli: Morgeti,
Siculi, Itali e Choni.
1450 a. C. Caduta di Creta e dell’impero minoico;
1200 a. C. Invasioni indoeuropee;
1180 a. C. Caduta di Troia;
1100 a. C. Invasione dei Dori;
1000 a. C. Migrazioni nel Mediterraneo di Greci, Etruschi etc.
E vennero dal mare…………………
GLI OPICI
PELASGHI o PELASGI
GLI OSCHI
TYRSENI O TIRRENI
GLI IBERI
MAGNOGRECI:
Si ritiene che la civiltà Egizia che ebbe splendore nel 3000 a.C. influenzò enormemente la civiltà del Mediterraneo. Una volta invaso l’Egitto da parte dei pastori Hycsos (Arabi e Cananei). Una grande tribù di Vutani del Basso Delta e Bink del Sudan emigrarono sulla costa jonica nella parte più meridionale, Bova. (Teoria Mesiani).
I Vutani si chiamavano cosi perché adoravano il Dio Vutò, una grande divinità dell’Egitto, che aveva la forma di toro e si chiamava anche Crimi (in alcune nostre località è rimasto tale nome trasformato in Climi) ambedue parlavano una lingua uguale al greco arcaico. Poiché il primo luogo che abitarono era detto Opicia questi popoli furono chiamati OPICI.
Altri che vennero successivamente si stanziarono tra Reggio già occupata dagli Opici e capo Vaticano e furono detti OSCHI. Dopo si insediarono gli Ausoni (Dionigi D’Alicarnasso).
Nel 1600 a. C. vi è la presenza degli Ausoni in Calabria (bronzo medio), fondatori di Temesa, che erano stanziati nel territorio di Reggio Calabria Taureano e il retroterra di Crotone (Pelleni).
Nel 1500 a. C. arrivarono gli Enotri sotto la guida di Enotro da cui derivarono le genti: Morgeti, Siculi, Itali e Choni. Il Mediterraneo era un mare navigato da vari popoli e sulle nostre terre arrivarono, alcune volte di passaggio, altre volte vi si stanziarono, diversi popoli di razze diverse.
Per le condizioni orogeografiche della Calabria, gli storici fino a pochi anni fa erano convinti che non vi poteva essere traccia di uomini primitivi. Ma il materiale litico che fu trovato cominciò a fare cambiare idea agli stessi che approfondirono le ricerche. A tutt’oggi sono stati indagati circa mille siti nel territorio di Bova, Melito, Palizzi e nella costa ionica meridionale, negli stessi, è stato rintracciato materiale archeologico che va dal Paleolitico arcaico (un milione di anni fa) all’età del ferro (VIII°-VII° sec. A.C.). I materiali scoperti più significativi sono quelli relativi al neolitico (8000 anni fa) e il bronzo finale. Gli studiosi attuali il prof. Sebastiano Stranges ispettore onorario della nostra Sovrintendenza
e numerosi prof.ri inglesi tra i quali il Prof. Robb, e altri delle migliori università americane,
per il materiale ritrovato, ritengono, che la provincia reggina sia insieme alla Mesopotamia al centro della preistoria. Essi stanno creando delle mappature complete del nostro territorio Bova, Melito, Saline, Palizzi e tutta la fascia Jonica reggina. Mettendo in risalto che in questa fascia sono stati rinvenuti insediamenti preellenici precedenti al periodo della Magna Grecia, e risalenti al neolitico, capanne ricoperte di rami e con intonaco di fango, cuspidi di frecce di ossidiana (materiale caratteristico di Lipari).
e silicee, materiale che dimostra un forte scambio di questo prodotto inesistente in Calabria, asce e una particolare serie di vasi e terrecotte con disegni geometrici trovati per la prima volta a Stentinello di Siracusa e perciò appartenenti ad una civiltà Stentinelliana che fa risalire il periodo del ritrovamento da 8000 a 6000 anni a. C.
(ceramiche Stentinelliane da internet)
Vedi a Palizzi gli ultimi reperti scoperti dal prof. Stranges strumenti litici, che ha trovato a Gunì sono due chopper (asce) unifacciali, ottenuti per taglio di un ciottolo nella porzione mediale e successivi ritocchi sulla cresta del taglio. Tali reperti sono collocabili al paleolitico calabrese.
La datazione più prossima, nell’attesa che eventuali approfondimenti stratigrafici consentano una maggiore precisione, è presumibilmente di 750 mila anni. I ritrovamenti di Palizzi testimoniano la presenza dell’uomo sin dal paleolitico arcaico, consentendo così di retrodatare, per la provincia di Reggio Calabria, la presenza umana a 750 mila anni. La datazione sarà più precisa quando strumenti e tecniche moderne, ci forniranno la giusta datazione.
Ormai è indiscutibile che esisteva in Calabria una civiltà premagnogreca, cioè anteriore alla Greca, questo si rileva dai monumenti e oggetti trovati e dai reperti. Qualche anno fa, è stata fatta anche una mostra al Museo di Reggio Calabria sui popoli Italici, per cui si può sostenere che vi era una civiltà Italica preesistente a quella Greca.
I Romani fecero di tutto per disperdere ogni vestigia di una italica civiltà anteriore al loro dominio.
La fase preistorica terminò nel 1500 a.C. I Greci scappati dalla Grecia per varie motivazioni, lotte interne, carestie, arrivarono numerosi nelle nostre coste, furono formate delle colonie che costituirono, la Magna Grecia. Nelle nostre terre si stanziarono i Greci Calcidesi di Eubea. La Regione ebbe diversi nomi Saturnia, Ausonia, Enotria, Tirrenia, Esperia ed in ultimo Italia.
Gli abitanti della parte più meridionale vennero infatti chiamati Itali. Nome che fu esteso dai Romani durante il loro dominio a tutta l’Italia attuale. (Augusto 42 a. C.) .
Vi era una convivenza pacifica tra popolazioni indigene e i civili invasori ellenici.
Tra VIII° e il VII° sec. a. C. arrivarono i primi colonizzatori greci sulle coste joniche, Reggio e Sibari e più tardi Locri nel VII° sec.. Da questi centri la civiltà ellenica si diffuse su tutte le coste Ioniche e Siciliane. Fu un evento storico-culturale molto importante e la civiltà fu chiamata magno-greca. Vi fu una forte lotta per il controllo territoriale ed economico tra Reggio e Locri e l’anno 387, segnò la distruzione di Reggio da parte dei Locresi alleati con i Siracusani. Sembra che il confine tra le due città fosse segnato dal fiume Alece, è possibile ipotizzare che il fiume Alece corrispondesse all’attuale fiume dell’Amendolea. Ma dagli studi del Prof. Cordiano
pare che il confine tra Reggio e Locri fosse segnato, dalla fiumara di Palizzi, le cui dimensioni dell’alveo, (30 mt.), citate da antiche fonti, sono corrispondenti a questa fiumara.
Qui infatti sono stati trovati lungo l’alveo, in posizione anche alta, strutture militari. Nonostante le modifiche idro geografiche e morfologiche, molte descrizioni dei luoghi, fanno ritenere che questo confine sia nell’attuale fiumara di Palizzi. Secondo alcuni storici la fiumara di Palizzi era navigabile, poiché la linea di costa era a quota più bassa, per cui il mare penetrava per un tratto dell’alveo finale del torrente. Secondo me, stesso principio sulla navigabilità, vale per l’Alece.
Dopo i Greci, ci fu l’occupazione militare romana, questa, costituì per la Calabria un regresso economico e sociale. Mentre per tutto il IX° sec., si ebbero le incursioni saracene, popoli che depredarono le coste del mare Jonio, arrecando notevoli danni economici e la fuga delle popolazioni, dalle coste verso l’interno. Dopo il periodo dei Saraceni vi fu la dominazione Bizantina e si diffuse nella regione il monachesimo Basiliano grazie a S. Basilio di Cesarea.
(Entrata chiesa grotta) (Interno chiesa grotta Basiliana di Brancaleone )
(particolare ripiano all’interno) (Croce Graffita con Pavone, simboli Armeni )
Tutta la Calabria meridionale, costituiva in tempi remoti un territorio compatto di lingua greca. Dopo la colonizzazione greca delle coste tale uso passò anche nei paesi interni.
Nella seconda metà dell’XI° sec. la Calabria fu conquistata (1050-1060) dai Normanni che d’accordo con la chiesa di Roma iniziarono un processo di rilatinizzazione introducendo l’ordinamento feudale che segnò la vita politica ed economica della regione in senso negativo.
In Calabria e specialmente nella costa ionica meridionale, nonostante la latinizzazione il Greco rimase la lingua parlata nella vita familiare e nelle faccende di carattere privato, con la conquista dei Normanni il rito greco continuò anche sotto questo dominio.
In seguito vi fu la dominazione Sveva con Federico II°.
(Federico II°di Svezia da internet)
A partire dal 1266 quella Angioina, dal 1442 quella Aragonese, che aggravò la situazione economica della regione.
Negativo fu il periodo di dominazione spagnola, (1505-1707) si ebbe un decadimento economico dovuto alla frantumazione del baronaggio e al fiscalismo spagnolo e si ebbero le catastrofi naturali, epidemie come le pestilenze, diffusione della malaria sulle coste, carestie, etc….
Questa introduzione ci farà capire meglio quale era la situazione del nostro Territorio di Pentedattilo e Villa di Melito. Ora traccio un po’ di storia di questo territorio e della sua evoluzione nel tempo.
Cesare Minicucci in un suo libro su notizie storiche sul Monastero della Candelora del 1908 riporta che intorno al 1500 nel territorio di Pentedattilo, vi erano molte chiese e questo si può rilevare dalla visite che Mons. D’Afflitto vescovo di Reggio Calabria fece a Pentedattilo il 31 luglio 1595, il 29 ottobre 1597, e il 12 novembre 1618, parlando delle chiese visitate:
S.S. Apostoli Pietro e Paolo;
Dittereale di S. Costantino;
Candelora; con annesso Monastero dei PP Domenicani (voluto da un
Francoperta);
Chiesa parrocchiale S. Nicola da Lui soppressa nel 1.11.1605;
Chiesa del Salvatore;
Chiesa della Madonna delle Grazie;
Chiesa di S. Maria della Scala;
SS Fabiano;
Rocco e Sebastiano;
S. Leonardo;
dell’Annunziata;
ed altre 24 chiesette, cadenti e in via di demolizione, questo ci dimostra che erano chiese molto antiche distribuite nel territorio di Pentedattilo, e che in quei tempi fosse vivo il sentimento religioso nei popolani.
Il d’Afflitto visitò nel 1595 Pentedattilo
(Annibale D’Afflitto da internet)
e vi trovò 5 preti greci…il protopapa Domenico Cardea, il dittereo Domenico Arato, Michele Miseferi, Martino Arato e Pietro Danile che erano semplici preti, un diacono e 4 chierici.
A quel tempo la parte australe della Diocesi reggina adottava il rito greco che era decadente, il greco buona parte del clero non l’intendeva, e voleva passare al rito latino. La famiglia Francoperta fondò a Pentedattilo un Monastero dei PP Domenicani e della chiesa Candelora, in questa chiesa vi è una pregevole statua di marmo, della Madonna della Candelora, data in dono nel 1564 dal barone Giovan Domenico Francoperta, la statua è alta circa 2 mt., rappresenta la Vergine che porta in braccio il bambino, con 2 angeli al fianco, la Madonna è scolpita nell’atto di camminare. La statua è molto bella.
Prima del 1600 non si trovava alcun vestigio dell’odierna Melito, la cui origine devesi principalmente ai coloni di Pentidattilo, i quali, abbandonata la madre patria, affluirono nel territorio di Melito per amore di coltura, da cui trassero grande vantaggio. Il non trovare quindi un centro abitato in quella vasta plaga, un tempo deserta e sterile, oggi così fertile e rigogliosa d’agrumi, gelsi ulivi e vigneti, non potrà ascriversi a colpa dei vicini abitatori di Pentedattilo o Montebello, che anzi questi paesi sorsero sulle alture dei monti per le continue molestie di corsari barbari e saraceni, che infestavano e depredavano i nostri lidi. Era perciò necessario abitare ai monti e così provvedere all’incolumità e sicurezza della propria vita. E quantunque in seguito la tracotanza musulmana era stata fiaccata nelle acque di Lepanto il 7 ottobre 1571 dalla poderosa lega delle potenze cattoliche, continuavano tuttavia le incursioni dei seguaci della mezzaluna e di altri barbari , sui nostri lidi, mentre le galee pontificie e quelle dell’Ordine di San Giovanni di Malta difendevano la costa dal Capo Spartivento al classico promontorio Leucopetra o Capo delle Armi, per impedire uno sbarco improvviso in quei luoghi del litorale più minacciati e più esposti ad un continuo e serio pericolo.
Fu perciò verso la seconda metà del 1600 che scesero alcuni coloni da Pentedattilo a Melito, ponendo loro stanza nelle alture d’un poggetto, dove sin dal 1550 era stata eretta una torre di forma rotonda, che segnalava con quella di Salto della Vecchia ad oriente e con quella del Capo delle Armi ad occidente.
Le torri furono fatte costruire dal Marchese di Cerchiara D. Fabrizio Pignatelli, Preside di Calabria, verso il 1550, perché allora i Turchi minacciavano d’invadere il regno. Fiore dice che il Pignatelli Preside di Calabria al fine di tenere in guardia la stessa, ordinò la fabbrica delle suddette Torri, non tanto per una momentanea difesa, ma affinché l’una guardando l’altra, annunciassero il pericolo in poche ore in tutto il regno. La torre di Melito distante sei miglia dalle altre, aveva i suoi torrieri, che insieme ai cavallari, facevano il servizio della vecchia telegrafia. Intorno a quella torre si fabbricarono le prime case, e, a misura che scemava il pericolo delle scorrerie dei barbari, altri si unirono ai primi abitatori di Melito, si occuparono della coltura e di dissodare il terreno.
Per il clima dolce e per la fertilità del suolo, in pochi decenni, aumentò l’immigrazione in Melito favorita molto dal Marchese Domenico Alberti, che fu il primo a dare un efficace incremento all’agricoltura, procurando cosi non poco vantaggio alla odierna Melito.
Fu il marchese Alberti che conferì grande impulso all’industria serica, aumentando nei suoi latifondi la piantagione dei gelsi. Risulta come, sin dal 1630, essendo Marchese D. Lorenzo Alberti, allevavasi in una stanza del castello di Pentedattilo il baco da seta, di cui aveva enorme cura la stessa Marchesa Donna Giovanna Mancuso. In seguito tale industria ebbe maggiore sviluppo ed incremento, tanto da essere considerata come precipua fonte di ricchezza delle nostre contrade. Fin qui quanto riportato da Cesare Minicucci.
Nel 1823 il feudo passò per vendita dalle mani di D. Alessandro Clemente a D. Vincenzo Ramirez di Reggio Calabria che lo acquistò, favorendo l’introduzione di culture più pregiate e la costruzione di case coloniche, gli abitanti della frazione Annà, pagavano il censo al Comune per il pascolo degli animali. I Ramirez, pagarono questi censi ottenendo cosi i terreni che bonificarono. Costruirono le mura di confine con la fiumara, e circa 60 case coloniche, in mancanza di braccianti fecero trasferire molte famiglie da Cardeto e Croce Valanidi nelle case coloniche di Annà, davanti la casa dei Marchesi Ramirez, vi era la piazza Baglio, cosi chiamata perché i contadini vi depositavano i prodotti che producevano, l’abbondanza era cosi vistosa che la piazza fu chiamata piazza del Bagliore, Baglio.
Questa è la storia recente della nascita di Melito da metà del 1600.
Ora invece mi soffermo su com’era il territorio Melitese prima del 1650 data in cui nacque l’odierna Melito.
Qualcuno sostiene che l’Origine di Pentedattilo è Ausonica cioè fu fondata dagli Ausoni. Domandandomi come tutti se Pentedattilo sia di origine Greca, Bruzia o Mediterranea o solo Bizantina, personalmente ritengo che la sua origine, sia etnica che geografica, debba essere precedente agli antichi Elleni colonizzatori, infatti non bisogna dimenticare che gli Enotri sono gli antichissimi abitatori della nostra terra. Essi provenivano dal Nord e si sono stanziati nell’Italia Centrale, scendendo fino alla punta dello stivale, ed essendo giunti mille anni prima avevano costruito numerose e fiorenti città. Gli Enotri dalle coste piano piano si spostarono verso l’alto per proteggersi dagli invasori che man mano venivano a minacciarli, tra questi i Greci e dopo i Bretti, popoli che dopo avere conquistato le terre, anche con l’uso della forza, si sono fusi con le popolazioni preesistenti. Pentedattilo con i bizantini divenne un centro famoso, quale difensore di tutte le terre viciniori, a causa dei continui attacchi afro-barbareschi. Come poteva rimanere inosservato un posto del genere di una bellezza unica, agli antichi greci e italioti, io credo a una storia di Pentedattilo molto antica, precedente alla Greca. Nel periodo greco-romano esso diventò un grosso centro importante anche per i paesi vicini.
In località Lia, (Lazzaro) vi si trovano i resti di una grande villa romana, (ritenuta quella del Patrizio Publio Valerio amico di Marco Tullio Cicerone, che fu li ospite. (I filippica, Capo 3, mentre fuggiva da Roma per la condanna inflitta per ostracismo dal Primo Triunvirato nell’anno 59 a. C.), Cicerone da Siracusa si stava dirigendo in Grecia scappando dalla persecuzione di Antonio.
(Marco Tullio Cicerone da internet)
Lo scirocco che da queste parti spira forte, lo spinse sulla costa calabra. Il giorno dopo non poté partire perché lo scirocco ancora soffiava, per cui rimase nella villa del suo amico, qui vennero a fargli visita dei cittadini di Reggio, che gli portarono notizie fresche da Roma. Ho sottolineato questo fatto per mettere in evidenza, come erano le strade in quei tempi. Il percorso più usato per raggiungere centri importanti, fino a meno di un secolo fa, era quello delle montagne, per raggiungere Lazzaro, da Reggio, il percorso, non era alla marina come oggi, bensì si attraversavano le montagne, Gallina, Armo, o Campi di S. Antonio, Allai Valanidi circa un’ora di percorso. Chi doveva raggiungere da Reggio, Locri via Motta S. Giovanni Campi di S. Antonio, Fossato, Bagaladi, passava dal monte Peripoli, Condofuri, Amendolea, Bova etc. Gli itinerari Tardo romani, indicano invece una strada costiera tra Reggio e Sibari. E in questa strada sono identificati Melito con le due pietre miliari, due cippi, o colonne militarie, segnanti il XX° e il XXI° miglio. essi indicano i nomi dei Cesari che avevano prolungata, all’inizio del secolo 4° d.C. la via da Reggio a Locri. (I due cippi sono conservati al Museo nazionale di RC). Scyle con S. Pasquale di Bova, dove è stata trovata la sinagoga, e dove venivano utilizzate delle anfore con bollo, infatti in questo territorio, vi era un’intensa produzione di anfore provenienti dalle fornaci di Pellaro e S. Lorenzo Marina. Decastadium con Bova Marina e Leucopetra. con l’attuale Capo delle Armi.. e un cippo miliario anche qui
Un’altra stazione probabilmente era in base ai ritrovamenti lungo la costa ionica presso la villa romana di Palazzi, in località Casignana.
Ai tempi di Lear la strada costiera da Reggio s’interrompeva a Capo delle Armi, per cui si deduce che Pentedattilo era un paese stanziale, l’attraversamento della fiumara che si trova accanto a questo centro, consentiva di raggiungere la pista della strada che si trovava più in alto. Quindi un territorio non posto al centro dei traffici. Il nome Pentedattilo appare la prima volta nell’episodio della vita di S. Elia il giovane (sec. IX° d.C.) “Si presentò la necessità di trovarsi dalle parti di Pentedattilo e passava dallo stagno (le saline) insieme al discepolo Daniele” da ciò si dimostra che in quel periodo Pentedattilo era un Korìon (paese)o addirittura un castèllion (cittadina fortificata). Il prof. A. Costantino sostenne nel suo libro “Il monastero italo-Greco di S.Elia il Giovane a Saline Joniche in provincia di Reggio”, che S.Elia nell’884 fondò il primo monastero italo Greco in una spelonca nella roccia di Prastarà.
Nella valle del Tuccio vi erano monasteri greci, i due più importanti furono Sant’Angelo e San Giorgio. Essendo Prastarà a due passi da Pentadattilo e con un territorio dove c’era una forte presenza monastica, una grande attività di lavorazione della creta (anfore). Prastarà fu indicato dal prof. Costantino come il luogo dove S.Elia fece il suo primo eremitaggio in una delle grotte che si trovavano in questo posto.
All’incirca nel 1200 (Epoca Bizantina) vi fu una decadenza della floridezza del territorio reggino causato dalle continue incursioni sui nostri litorali dei Saraceni che sbarcavano sulle nostre coste e le depredavano e dopo incendiavano le città e le cose importanti che in esse si trovavano (per questo motivo molti documenti del passato andarono persi). Si può dire in ogni caso che durante il periodo di S.Elia il giovane, il territorio di Pentedattilo si estendeva dallo stagno di Saline Joniche al torrente Tuccio.
Quando fu fondato Melito? Melito, è stato sempre il centro più grosso dopo Reggio Calabria, nel 1811, sotto la dominazione francese, subì vari attacchi, da parte della marina anglo sicula fu così prima danneggiato e dopo distrutto il fortino che si trovava sul litorale in direzione della casa degli Alberti. E da C. Minicuci “Il fortino aveva un presidio di artiglieri in numero di 12, dipendenti dal feudatario e dall’Università di Pentedattilo che corrispondeva loro i viveri. Il fortino era munito di 6 cannoni e una colubrina e rese eminenti servigi durante le invasioni turchesche e resistette per tanti secoli, fino al 1807, quando fu fatto saltare in aria dagli inglesi, che vi fecero esplodere molti barili di polvere”.
Nell’800, e prima, gli studiosi opinavano che Melito non avesse avuto un passato, e che la riva fosse stata sempre preda delle fiumare e della boscaglia.
Opinione quanto mai antistorica. Bastava porre mente non solo alla amenità del luogo, ma pure ai ruderi che anche allora si erano andati, involontariamente, scoprendo.
Questi ruderi erano una testimonianza irrefragabile, che qui, sulla spiaggia, vi era stata una florida vita sociale, naturalmente, Egizia, Assira, Italica, Greca, ebraica, e indi latina.
Del resto, non poteva essere stato altrimenti. Siccome la Melito attuale è sorta intorno al 1650, prima di questo periodo non esisteva una Melito.
Tanto è vero che Melito non venne mai indicato dagli scrittori di storia e topografia calabro-siculi. Il Pontano che fu a Pentadattilo, non ne parlò mai, e nemmeno il Barrio, l’Aceti, il Fiore, il Marafioti, nemmeno l’Amato nella sua Pantopologia. Nel 1489 Alfonso D’Aragona, fu a Pentadattilo (Pinctodactolo), in Ammendolea (La Mandolia), ma non a Melito. Cfr G.B. Leostello da Volterra. Ed io aggiungo che in una cartina geografica antichissima che ho visto a Roma ed in altre cartine, vi è solo riportata la città di Reggio Calabria e Pinctodactolo. Dopo il 1650, l’attuale Melito, venne chiamata villa di Melito e dopo Melito, e dopo ancora Melito di Porto Salvo. Sono convinto, che Melito nel passato ebbe, prima che fosse la Melito attuale, una fiorente vita, italica, dopo greca, indi romana o latina, e di poi bizantina. Lo dimostrano i suoi nomi topografici vedi Cufòlito, che naturalisticamente esprime con due vocaboli greci la conformazione bio-mineraria del colle, e anche i numerosi reperti che si trovano continuamente su quel territorio monete, cocci lavorati di argilla etc.. dimostrano che fu stazione latina. Il Mandalari cita un ricordo lapideo rinvenuto nel 1764; riportato dal Logoteta e dallo Spanò Bolani che indicava una strada marittima da Reggio al Territorio Locrese.
Secondo alcuni storici, Cotroneo ed altri la località era abitata in epoca tardo Romana ed io aggiungo anche Greca e prima da gente italiche.
Cesare Minicucci asserì che il primo nucleo dell’attuale Melito sorse a ridosso di una collina a m. 35 sul livello del mare, al disotto della torre di avvistamento e a dx del Torrente Tuccio., mentre le più recenti costruzioni si sono sviluppate al di sotto della Statale 106 verso il mare. Le due più importanti arterie sono la Statale 106 aperta nel 1868 e la linea Ferroviaria Reggio Cal. Roccella che è stata inaugurata nel 1871.
Per quanto riguarda Melito grossi e importanti ritrovamenti effettivamente non ci sono mai stati, però occasionalmente durante gli anni 50-60, e sempre durante gli scavi per lavori di volta in volta arrivavano notizie di ritrovamenti di cose del passato…
Cotroneo ci indica che nel 1904, nella parte alta del paese quindi Melito vecchia, fu ritrovato un ampio cunicolo fatto di mattoni ed embrici di fattura romana con monete e resti ossei sicuramente una Necropoli del V°-VI° Sec. d.C., nel 1704 presso la foce del Torrente Annà sono stati rinvenuti ruderi risalenti ad epoca Romana, che proverebbero l’esistenza in quel luogo di una columna Regia (Numera) e di una stazione e di una taverna di cui danno notizie e che sarebbero esistite tra Melito e Capo D’armi nel periodo di Antonio Pio, ruderi di acquedotti, fornaci e monete. Non parliamo , inoltre dei continui ritrovamenti greco-Romani, non ultimo il ritrovamento delle tombe e altro materiale rinvenuto durante gli scavi del porto di Saline. Si parlò di statuette e di tanto altro materiale, cosi come avvenne nella ex chiesa Concessa e sue vicinanze pavimenti, cocci, vasi.
(La chiesa “Concessa”, dal libro di Don Ettore Lacava “Melito di Po
mosaici, ormai distrutti, che dimostravano in quel luogo di culto, che evidentemente erano preesistite civiltà precedenti. In tutta la zona della chiesa della Concessa furono sempre trovati reperti, verso gli anni 50, fu trovata una necropoli di epoca imprecisata (V°-VI° sec. d.C.?), sicuramente ellenistico-romana, a circa due mt. di profondità sotto la terra sul lato destro del viale Minicuci. Nel fare le fondamenta alle prime palazzine dell’Ina case, si trovò un lunghissimo complesso, sui 50 mt per 25 di larghezza, di nitide strutture sepolcrali; un ordinatissimo recinto di loculi, di urne cinerarie, di anfore, di abbellimenti. Vi affiorarono i resti di adulti e di bambini, Nell’area del mercato coperto ruderi e monete di bronzo, strutture murarie e anfore nelle vicinanze del corso Garibaldi; una necropoli nell’area dell’Ospedale; resti di lucerne, una tomba, sulla Tenente Minicuci. Altri reperti furono trovati nelle proprietà dei Ramirez, una tomba con un marmo reimpiegato da un sarcofago romano, in località Annà, e un’altra tomba, tardo romana.
Tutti gli altri tesori disseminati sotto e intorno a Melito vanno in polvere, sprezzo verso il passato?, egoismo? Lo stesso atteggiamento lo ritroviamo nella tenuta del vecchio cimitero, tutte le tombe del passato distrutte, certo c’è una questione di spazio, ma giustifica tutto ciò.? Alcuni reperti trovati nella costa Jonica. risalgono al periodo neolitico 5.000-6000 anni a.C.. Ritrovamenti sono stati fatti in diverse zone, a Roghudi nuovo e in tanti altri posti è stata trovata l’ossidiana usata dalle popolazioni stentinelliane che la commerciavano tra Crotone Malta e Pantelleria,
sono state ritrovate ancora qui bellissime ceramiche di colore bruno tipiche del neolitico medio, mentre nella Torre di Melito sono state trovate ceramiche dello stesso periodo.
(Cocci Stentinelliani da internet)
Nella zona di Spilingara invece è stato trovato un villaggio le cui ceramiche di stile maltese Borg in Nadur (bronzo medio) sono risalenti al XVI_XIV secolo a.C..
un graffito da parte di Sebastiano Stranges.
Nelle vicinanze di questo posto a Prunella, c’è una tomba tholos ormai distrutta per i lavori fatti a suo tempo in questa zona.
(Resti tomba Tholos nel territorio di Prunella)
Questo fa pensare cosi come in tutti gli altri posti della costa jonica che vi erano state delle civiltà antiche molto più evolute rispetto a quelle europee in quanto questi conoscevano l’agricoltura ed erano stanziali, quando gli altri popoli sia dell’Italia che dell’Europa vivevano in modo nomade. Quanto detto è suffragato dalla attuale visione di queste tombe e dei cocci di argilla cotta che tutt’oggi sono ben visibili dietro la Sede della Marina Militare nel porto di Saline.
Ed infine vi voglio parlare di Prastarà, su questo sito io ricordo che da giovane studente, la tradizione attraverso il popolo, faceva eco che in quel luogo c’era una caverna ed un vecchio passaggio verso il mare, siamo andati a visitare questa grotta, c’erano dei cocci d’argilla e la cosa che mi meravigliò era che al centro delle 4 rocce, sotto un cumulo di queste pietre stratificate, mi accorsi che c’era un vecchio muro in mattoni, che ci faceva quel muro sotto le rocce in quel posto così aspro e solo? A sostegno di quanto vi sto dicendo un interessantissimo articolo di Giovanni Crea sul periodico “I foni tu Richudìu la voce di Roghudi” dove il sito di Prastarà viene indicato come uno dei più importanti siti storici e archeologici del comune di Montebello Jonico. Sono stati ritrovati reperti archeologici, risalenti all’età del bronzo, nel periodo compreso tra il 1200 e il 900 a.C. da parte di archeologi volontari Stefano Ferrante e Giuseppe Praticò, del loro amico Giovanni Mallamaci, coordinati dal direttore Archeologico della soprintendenza ai beni Archeologici Dr.ssa Emilia Andronico.
(Dr.ssa Emilia Andronico durante un Convegno a Bova M.)
Sono stati rinvenuti pezzi di vasi in terracotta con vere incisioni dette a “dente di Cane”, frammenti di punta di lancia in ossidiana per la caccia degli animali, frammenti di utensili in ossidiana
(Attrezzo di ossidiana da internet)
che servivano per scuoiare le pelli. L’uomo che frequentava Prastarà lavorava la creta, aveva scambi commerciali (l’ossidiana proveniente da Lipari), e dopo venne S.Elia.
Da che deriverebbe il nome di Melito?
Il Guarna Logoteta Carlo, nella Storia delle Parrocchie di Reggio, presenta questa possibile derivazione toponomastica: Melitos, per Melitoeis, Melitus; cioè campagna inclinata dolcemente verso il mare – temperata, molle.
Superfluo dire che questa affermazione, comune a molti storici locali, non sembra potersi percorrere in quanto un po’ arbitraria, alla stessa stregua si potrebbe proporre un nome proprio di persona per es. Meleto che nella Grecia socratica era comune: vedi processo di Socrate.
Più vicino alla originaria etimologia forse, è il Cotroneo. Il quale fa derivare il nome di Melito, probabilmente da Melita per Melissa= ape. Infatti nel 600 e 700, pare vi fosse diffusa l’apicultura; e a Pentedattilo lo è anche oggi. La brillante vita ellenica, fu ripresa e continuata, nei Bizantini. E durò sino a quando all’orizzonte non si affacciò l’invasione saracena. Allora si, che Melito: come tutto il litorale, divenne un deserto!! Erchemperto infatti disse della Calabria marina di quei tempi: deserta “ut in diluvio”.
Ma che vi fosse stata una florida vita originariamente pregreca, greca, e poi latina, lo dimostrano, non solo i ruderi che oggi, con più abbondanza, si dissotterrano, e le urne funerarie, e le necropoli, ma altresì anche le più tardive lapidi Romane. In tutta la costa ci sono sempre stati ritrovamenti di epoca romana, Si sa con quale cura, i Romani tenevano le strade militari, ed una di queste era la via che percorreva tutto il nostro litorale.
(Traccia strada romana a Palizzi, da Conv. Prof. Cordiano)
Nel 1774, a Melito, “scavandovi delle fosse –dice il Cotroneo- che ricalca G.B. Moscato, per piantarvi alberi…vennero scoperti l’uno dopo l’altro due cippi, o colonne militarie, segnanti il XX° e il XXI° miglio. “tradotte dall’arciprete di Pentadattilo, Cilea essi indicavano i nomi dei Cesari che avevano prolungata, all’inizio del secolo 4° d.C. la via da Reggio a Locri. Sono identiche. Le due colonne si trovano oggi al Museo Nazionale di Reggio Calabria….secondo Cotroneo Melito sarebbe stata una mansion romana: Specie di locanda semi-militare per alloggiare e informare i passeggeri, che fosse un luogo importante lo dimostrano le due iscrizioni rinvenute sotto questi giardini prospettici: il primo ceppo reca:
C. Flav. Galer. Licinius
Ang Bono Annium
Natus DDD NNN
Censpo Liciniano Et Constantino
NNN. OOO. BBB. Caess.MXX
E denota i nomi dei Cesari che all’inizio del 4° Sec. d.C. fecero prolungare questa via consolare pel Bruzzio da Reggio a Locri.
L’altra lapide era corrosa e illeggibile, ma pur essendo un po’ posteriore, è della stessa natura.
Secondo il Cotroneo, molto impreciso nelle genealogie feudali come gli altri, il Feudo o gran parte di esso passò nel 1823 dalle mani di D. Alessandro Clemente a D. Vincenzo Ramirez.
Per queste notizie sui litorali bisognerebbe consultare anche Morisani: Inscriptiones Reginae, Iscrizioni di Reggio, gli itinerari di Antonino e le tavole Peuntigeriane e il Mandalari, e G. B. Moscato; in Riv. Stor. Cal. degli anni dal 900 al 910. dileguato il pericolo saraceno, e indi turchesco, i discendenti dei rivieraschi che erano fuggiti ai monti, discesero di nuovo al mare. Dal 1650 in poi, si trovano tracce certe di coltura e abitanti a Melito. A proposito richiamo tutti gli atti da me riscoperti relativi allala salata dei pesci nello scalo di Melito, di cui ho già pubblicato qualcosa in questo sito.
Nel 600 vi sono memorie di due chiese: La “Concessa”, e una chiesetta dedicata all’Immacolata Concezione, di pochi decenni posteriore. Nel 1682 venne a Melito alla Concessa l’arcivescovo Jbanez De Villanueva che concesse ad un Alberti l’ampliamento della chiesa di Porto Salvo. E il Vescovo Tommasini, rifacendosi a un Decreto del suo antecedente Capobianco del 1786, trasferiva l’arcipretura da Pentadattilo alla chiesa madre di Melito il 22 aprile 1820.
Il paese è importante per il celebre santuario della Madonna di Porto Salvo del XVII° sec.,
in cui è custodito un quadro Bizantino,
(MARIA SS. DI PORTO SALVO DA INTERNET
secondo la tradizione giunto dal mare e trovato lungo la spiaggia, sarebbe li giunto, per proteggere i suoi abitanti dalle incursioni saracene. Fu proprio il Marchese di Pentedattilo D. Domenico Alberti che fece costruire, nel 1680, una piccola cappelletta nel punto dove si diceva avevano trovato il quadro e l’attuale Santuario della Vergine di Melito P.S. forse in un sito dove esisteva un precedente Santuario.
(Piccola cappella di Maria SS. di Porto Salvo, nella foto Pino e daniele Dattola)
Inoltre gli Alberti, per favorire l’agricoltura fecero costruire una loro residenza (il Casino che è una imponente costruzione) con una iscrizione lapidea e dopo la chiusura della Concessa, un’altra chiesa intitolata all’Immacolata Concezione. Nel 1823 le terre del Feudo di Pentedattilo furono acquistate da D. Vincenzo Ramirez di Reggio che favorì l’introduzione di culture più pregiate (bergamotto e gelsomino) e la costruzione di case coloniche. Melito è famoso per l’Ospedale, voluto e creato da Tiberio Evoli, medico notabile cittadino, che fu Senatore della Repubblica; per la coltivazione del bergamotto che è un prodotto tipico locale, la coltivazione dello stesso in altri Paesi ha dato scarsi risultati.
Dalla buccia di bergamotto si estrae l’essenza, che viene usata come fissativo in tutti i profumi importanti nel mondo.
Melito di Porto salvo, li 4.3.2012
daniele dattola
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