MELITO DI PORTO SALVO
IL SANTUARIO DI_MARIA_SS_DI PORTO SALVO E LUNGOMARE
LUOGHI DELLA MEMORIA ( Monumento ai Caduti delle Guerre – Largo Jacopino – Viale delle Rimembranze – Piazza Luigi Rizzo )
Melito è un’importante cittadina, che fa parte della provincia di Reggio Calabria, conta circa 11.000 abitanti, il suo territorio degrada dalle pendici dell’Aspromonte (781 mt.) fino al mare Jonio e dista 30 km. da Reggio Calabria
(foto Daniele Dattola)
Le sue coste sono lunghe circa 6 km.
Notevoli sono le albe luminose che si affacciano fino a Capo Bova, Palizzi e Spartivento i tramonti spettacolari che vedono scendere il sole sull’Etna fumante.
(foto Lucia Mangeruca)
(foto Nino Marino)
Variegati sono i paesaggi che vanno da un territorio con caratteristiche collinare mandorli,uliveti, fichi d’India e la splendida ginestra,
(foto Daniele Dattola)
(foto Daniele Dattola)
a un mare azzurro e limpido, non parliamo delle spiagge sabbiose
(foto Daniele Dattola)
(Barche con Etna nello sfondo – foto Daniele Dattola)
(foto Daniele Dattola)
(foto Giuseppe Latella)
e delle coste piene di agrumeti (bergamotto), con il caratteristico odore della zagara, e le bianche fiumare che lo attraversano.
(foto Giuseppe Latella)
(Melito di notte – foto Daniele Dattola )
(Melito di notte – foto Daniele Dattola )
Fa parte di Melito, Il borgo di Pentedattilo, con la sua storia;
(foto Daniele Dattola)
Le sue frazioni, i profumi della zagara, i magnifici lidi sul mare, fanno si che Melito è una cittadina che va visitata a cui i turisti non possono sottrarsi per trascorrere una lieta vacanza.
UN PO’ DI STORIA
Mi rifiuto di scrivere che Melito ha un origine greca e dopo romana, si sa che il mare jonio su cui si affaccia Melito, fa parte del Mediterraneo (mare in mezzo alla terra). Gli antichi popoli del mare, costituiti da razze diverse, provenienti da diversi continenti lo attraversarono, favorendo la nascita di antichi nuclei: Gli Opici, I Pelagi, Gli Iberi, I Magnogreci, I Romani e cosi via. Molta influenza esercitò l’Egitto,già presente nel 3000 a.C. nel Mediterraneo, a causa dell’invasione dell’Egitto da parte di una tribù di Hycsos, due grandi tribù di Butani del Basso Delta e Bink del Sudan emigrarono sulla costa jonica in un posto che fu chiamato vuà (Bova) i butani adoravano una grande divinità Vutò, che aveva la forma di toro e parlavano una lingua simile al greco arcaico. Mentre in altri posti della Calabria si insediarono in questo stesso periodo altri popoli che furono detti Opici, in quanto il primo luogo che abitarono era detto Opicia (Butani e Bink ; Reseniti; Acri; Vudinoi; Driopi; Choni), e così via.
Sulla costa Jonica ormai è arcinoto che è stato rintracciato materiale archeologico che va dal paleolitico arcaico (un milione di anni fa) all’età del ferro (VIII°-VII° sec- a.C., ma quello più notevole è il materiale neolitico, che ha messo in risalto grazie al lavoro del prof. Robb e di altri illustri professori universitari internazionali, ritrovamenti preellenici molto precedenti al periodo della Magna Grecia, capanne ricoperte di rami e con intonaco il fango, cuspidi di frecce di ossidiana (materiale caratteristico di Lipari) e silicee, asce e una particolare serie di vasi e terrecotte con disegni geometrici, di colore bruno, trovati per la prima volta a Stentinello di Siracusa e perciò appartenenti ad una civiltà che risale da 8000 a 6000 anni a.C. per documentare e confermare quanto ho detto prima ecco uno dei tanti articoli Comparsi sui giornali locali e mi riferisco alla Gazzetta del Sud del 22 luglio 2003.
Autore Pietro Gaeta:
“Dalla Gazzetta del Sud del 22 luglio 2003 art. di Pietro Gaeta
Archeologi anglosassoni stanno eseguendo importanti scavi
Il Tesoro di Bova
Un Prof. Di Cambridge guida le ricerche
Reggio – Trenta giovani archeologi inglesi, americani, canadesi, guidati da John Robb, professore della prestigiosa Università di Cambridge, scavano nel territorio di Bova dal 1997. E i risultati sono straordinari: la presenza dell’uomo nella provincia di Reggio si retrodata all’epoca del Paleolitico (700.000 anni prima di Cristo!) Sebastiano Stranges, ispettore onorario della Sovrintendenza, e la sua equipe, da un ventennio hanno portato alla scoperta di centinaia di siti archeologici tra Pellaio e brancaleone e particolare rilievo hanno avuto i siti preistorici, praticamente sconosciuti nella letteratura internazionale. Fin dalla prime ricognizioni era emerso il ruolo di grande rilievo nella zona tra Saline e Bova che aveva già fatto parlare di una capitale neolitica nella Calabria meridionale. Il risultato di queste ricerche ha attirato archeologi internazionali che hanno deciso di investire denaro e tempo nella scoperta della preistoria nella nostra provincia. I due siti indagati sono Umbro e Penitenzeria (entrambi nel Comune di Bova), dopo che le segnalazioni di Stranges furono confermate scientificamente dal prof. Santo Tinè ( Il più grande archeologo preistorico italiano) che fu coadiuvato dal prof. Daniele Castrizio-, dove furono trovate alcune capanne neolitiche e uan ricchezza enorme di ceramica “stentinelliana” con motivi e decorazioni inedite”. Dopo i primi saggi le ricerche si sono appuntate nel sito di Penitenzeria che era il villaggio più importante dell’intera costa meridionale, la “capitale” della tribù Ausonia che si era insediata nella zona. “ I sistemi di scavi sono i più moderni – spiega il Prof. Castrizio- una vera lezione per l’archeologia locale. Usano la flottazione e il sistematico setacciamento della terra di scavo su cui intervengono i paleobotanici e i paleontologi. In Calabria, per la prima volta, è stato usato il sistema di datazione del radiocarbonio. Grazie a questi metodi innovativi, lo scavo ci restituisce non solo cocci e pietre, ma la vera storia dei nostri antenati. Sappiamo dove e come abitavano, cosa mangiavano e come distribuivano il territorio. Lo studio dei motivi ornamentali sulla ceramica ci restituisce anche la loro identità culturale: ogni tribù aveva i propri decori, come i clan scozzesi hanno i loro colori che li identificano. Sappiamo anche che avevano un commercio: prendevano e esportavano l’ossidiana dalla isole Lipari, importavano le pietre dalla Sila per le proprie asce, arrivavano vasi e forse anche uomini dalla Grecia e dall’Africa”. Quest’anno è cominciato anche uno scavo di case fortificate greche per lo sfruttamento agricolo e il controllo del confine tra Reggio e Locri (IV sec. A. C.). I villagi indigeni, probabilmente sotto la spinta dei Greci, furono abbandonati e il territorio subì una radicale trasformazione e reinterpretazione commerciale ed economica. “L’importanza di questi scavi – aggiunge Castrizio – è fondamentale per lo sfruttamento turistico del nostro patrimonio archeologico e rappresentano un vero e proprio esempio da seguire. Gli scavi sono costantemente aggiornati su internet, i materiali vengono velocemente pubblicati e messi a disposizione della comunità scientifica, specialisti stranieri vengono chiamati per risolvere i problemi della ricerca. Lo scavo di Umbro è molto famoso in Inghilterra ed è stato ripreso da riviste specializzate. Ma la cosa importante da comprendere è che questo sito ci ha consentito di saperne di più sui nostri antenati e poi, cosa ancora più straordinaria, che è semplicemente uno dei tanti che si possono scavare sulla costa reggina”. Sebastiano Stranges, dunque, è un esempio di chi, rimettendoci, sempre del proprio, ha vinto le iniziali resistenze degli esperti e non si è mai arreso all’assenza di fondi. “E se altri avessero agito come lui – conferma Castrizio-, certamente il nostro turismo culturale avrebbe avuto ben altre frecce al suo arco”. ……L’Aspromonte, sotto le grandi pietre (Pentadattilo, Pietra Cappa, Pietra di Febo…), cela ancora villaggi di straordinaria grandezza e ricchezza. Saline, in particolare, negli studi di Stranges e Robb, sembra essere una vera e propria capitale del neolitico con una serie straordinaria, per quantità e qualità di rinvenimenti……”
dopo vennero i Greci Calcidesi e il territorio di Melito era integrato al territorio di Reggio Calabria e quindi sua colonia. Molti sono i reperti relativi al periodo della Magna Grecia. Ai Greci subentrarono i Romani . Si sa con quale cura, i Romani tenevano le strade militari, ed una di queste era la via che circuiva il litorale, Costantina-Licina. Nel 1774, a Melito, “scavandovi delle fosse –dice il Cotroneo- che ricalca G.B. Moscato, per piantarvi alberi…vennero scoperti l’uno dopo l’altro due cippi, o colonne militarie, segnanti il XX° e il XXI° miglio. “tradotte dall’arciprete di Pentadattilo, Cilea essi indicavano i nomi dei Cesari che avevano prolungata, all’inizio del secolo 4° d.C. la via da Reggio a Locri. Le due colonne, sono identiche, si trovano oggi al Museo Nazionale di Reggio Calabria….secondo Cotroneo, Melito sarebbe stata una mansion romana: specie di locanda semi-militare per alloggiare e informare i passeggeri, che fosse un luogo importante lo dimostrano le due iscrizioni rinvenute sotto questi giardini prospettici: il primo ceppo reca:
C. Flav. Galer. Licinius
Ang Bono Annium
Natus
DDD NNN
Censpo Liciniano
Et Constantino
NNN. OOO. BBB. Caess.
MXX
e denota i nomi dei Cesari che all’inizio del 4° Sec. d.C. fecero prolungare questa via consolare pel Bruzzio da Reggio a Locri.
L’altra lapide è corrosa e illeggibile, ma pur essendo un po posteriore, è della stessa natura. Nella parte più antica di Melito fu ritrovata una Necropoli del V°- VI° sec. D.C. e nel 1704 presso la foce del torrente Anna’ sono stati rinvenuti ruderi risalenti ad epoca Romana., Decastadium. Anche al centro di Melito è stata trovata una necropoli verso gli anni 50, di epoca imprecisata a circa due mt. di profondità. Era un lunghissimo complesso sui 50 mt per 25 di larghezza di nitide strutture sepolcrali, un ordinatissimo recinto di loculi, di urne cinerarie, di anfore, di abbellimenti. Tutto andato distrutto. Un’altra necropoli è stata portata alla luce, durante gli scavi, all’interno del porto di Melito.
(foto Daniele Dattola)
(foto Daniele Dattola)
La brillante vita ellenica, fu ripresa e continuata, nei Bizantini. E durò sino a quando all’orizzonte non si affacciò l’invasione saracena. Allora si, che Melito: come tutto il litorale, divenne un deserto!! Erchempetro infatti disse della Calabria marina di quei tempi: deserta “ut in diluvio”.
Nel periodo Bizantino in cui le spiagge e i territori vicini erano deserti si sviluppò un grosso centro, abbarbicato alle falde di una montagna “Dolomitica” che ha la forma di una gigantesca mano sviluppato al disotto del Castello degli Alberti. Pentedattilo, uno dei più suggestivi posti della Calabria, famoso in tutto il mondo. La bellezza del posto incantò e affascinò lo scrittore inglese Edward Lear, che durante un viaggio in Calabria nel 1847, immortalò la rupe in un disegno.
(foto Daniele Dattola)
Il Paese nuovo, per pericolo di frane fu ricostruito in una zona più a valle. I visitatori sono affascinati dalla bellezza del luogo e dal misterioso silenzio che rende il posto attraente anche per la nota e tragica vicenda che avvenne nel 1686 quando Bernardino Abenavoli, figlio del Barone di Montebello si introdusse la notte di Pasqua nel castello, (alcuni sostengono per amore, ma sicuramente anche per interesse) e sterminò tutta la famiglia, dopo rapì Antonietta e la sposò contro il suo volere.
(foto e ricostruzione di Daniele Dattola)
Questo posto era prima Università, divenute le spiagge sicure i primi nuclei di Pentedattilo si spostarono da quel luogo impervio e si trasferirono, secondo notizie certe tramandatoci da Cesare Minicuci, intorno alla Torre di Melito nel paese alto e via via sempre più in giù. Il “Signore” di Pentedattilo favorì questa migrazione e diede grande impulso all’industria serica con le piantagioni di gelsi, quindi possiamo affermare che la Melito attuale ebbe origine intorno al 1600. Nell’800 i marchesi Ramirez , introdussero nuove coltivazioni tra cui il bergamotto e il gelsomino, prodotti tipici locali, dalla buccia del primo si estrae l’essenza, che viene usata come fissante in tutti i profumi del mondo. Né va dimenticato che il territorio di Melito è stato sempre un importante centro di pesca tanto è vero che il Barrio, , solitario etnografo calabrese (1506-1577, nato a Francica -CZ-, sacerdote, autore del “Gabrielis Barrii, Francescani. De Antiquitate et situ Calabriae. Libri quinque. Romae, apud Iosephum de Angelis, 1571”), considerato come storico lo Strabone, il Plinio, il Pausonia delle Calabrie. Scrive di Reggio e di altri luoghi notevoli vicino ad esso, commentando che a Pentedattilo in quell’agro e nel suo territorio si produce il sesamo, c’è ubertà di mandorli e di capperi, e si fanno ottimi mieli; si rinviene anche del quarzo eccellente. In questo mare si fa ingente pesca di sarde, che salate, si conservano negli orci. Nel 1811 con gli ordinamenti francesi Pentedattilo cessa di essere Università e Melito nel 1818 diventa Comune, mentre Pentedattilo sua frazione, gli vennero assegnati in questa occasione i villaggi di Pilati e Prunella e trasferite le istituzioni civili e religiose. Melito, è stato sempre il centro più grosso dopo Reggio Calabria, nel 1811, sotto la dominazione francese, subì vari attacchi, da parte della marina anglo sicula fu così prima danneggiato e dopo distrutto il fortino che si trovava sul litorale in direzione della casa degli Alberti. E da C. Minicuci “Il fortino aveva un presidio di artiglieri in numero di 12, dipendenti dal feudatario e dall’Università di Pentedattilo che corrispondeva loro i viveri. Il fortino era munito di 6 cannoni e una colubrina e rese eminenti servigi durante le invasioni turchesche e resistette per tanti secoli, fino al 1807, quando fu fatto saltare in aria dagli inglesi, che vi fecero esplodere molti barili di polvere”.
Le frazioni del Comune di Melito P.S. sono: Pentedattilo, Musa, Annà, S. Leonardo, Lembo, Pallica, Pilati, Prunella, Caredia, Musupuniti, Lacco.
Melito è famoso per l’Ospedale, voluto e creato da “T.Evoli”, medico notabile cittadino, che fu Senatore della Repubblica;
per la produzione del bergamotto; per la bellezza del suo lungomare che si affaccia a sud-ovest sulla Sicilia, l’Etna, Catania, Taormina visibilissime durante le giornate limpide;
(foto Daniele Dattola)
(Sicilia di notte – foto Daniele Dattola)
per lo sbarco di Garibaldi con i “mille” a seguito, la prima volta all’alba del 19 agosto 1860, la seconda nel 1862. Sul luogo dello sbarco vi è a perenne memoria una stele e una tomba dedicata ai garibaldini rimasti uccisi. In direzione della stele sotto la sabbia vi è sepolta la nave “Torino” utilizzata per lo sbarco da Garibaldi; per Pentedattilo e la sua pittoresca rupe, questo paesino è conosciuto ormai in tutto il mondo.
Molti sostengono che Melito deriva dal greco Melitos, genitivo di to melis che significa Miele non bisogna dimenticare che ancora oggi si produce il miele.
Melito importante crocevia tra Reggio Calabria, Locri e l’Aspromonte, ha due importanti arterie, la statale 106 aperta nel 1868 e la linea ferroviaria Reggio Calabria-Roccella inaugurata nel 1871.
Melito fu gravemente danneggiata dai terremoti del 1783 e del 1908 quest’ultimo causò vittime e danni gravi nelle abitazioni, che furono recuperate e il Paese da allora si espanse in pianura vicino al mare. Melito visse anche gli eventi delle due guerre mondiali e fa parte della memoria del Paese il bombardamento del 31.01.1943 che provocò la morte di tante persone che erano riunite in casa Ramirez e quello del 16 luglio 1943, verso l’undici ant. Un’aereo s’abbassò e lanciò 5 bombe vicino la fabbrica delle pipe alla marina, danneggiandola e uccidendo 11 ragazzi e un povero caporalmaggiore. Due di queste bombe penetrarono nella sabbia senza esplodere. Si dice invece che verso il 15.01.1943 due grosse motonavi furono silurate da un sommergibile inglese, una nave calò a picco di fronte la Marina di Melito e oggi si trova in una secca alla profondità di 25 mt., l’altra danneggiata fini arenata sulla spiaggia senza affondare, si decise di scortare questa nave fino al porto di Messina per essere riparata. La nave partì da Melito verso Messina il 27 gennaio 43. Da terra un piccolo convoglio di automezzi munito di cannoni antiaerei sorvegliava la navigazione della nave, scortandola fino a Capo delle Armi. Dopo avere scortato la nave al ritorno, un guasto al motore di un camion fece sostare la colonna nei pressi della casa dei marchesi Ramirez, la colonna pare fu individuata da un aereo che segnalò quel luogo (tragica fatalità) fotografandolo come un obiettivo militare. La sera del 31 gennaio alle ore 20,00 mentre veniva bombardata Messina e il vescovo si era appena affacciato con gli altri a vedere la scena un aereo si portò sulla casa e sganciò otto bombe dirompenti che in pochi secondi provocò la morte dell’arcivescovo Enrico Montalbetti e di altre nove persone, tra cui il il Marchese Annunziato Ramirez e la sua consorte Caterina Fieschi, il figlio del marchese Annunziato, Francesco Ramirez, allievo Ufficiale alla Nunziatella di Napoli che nonostante ferito, si rifiutò di essere operato per primo, per dare agli altri la possibilità di salvarsi, prodigandosi a dare soccorso e pronunciando parole nobili in punto di morte, gli fu conferita la medaglia d’argento al valore militare. Un’altra vittima fu Don Rocco Trapani in servizio alla curia arcivescovile, il parroco di Anna’ don Giovanni Bilari, i maggiori: Carlo Bertuscelli, Vincenzo Mirto e la moglie Beatrice, Filippo Notarbartolo. A Francesco Ramirez e a Mons. Enrico Montalbetti è stata dedicata una Piazza chiamata Baglio che si trova davanti alla chiesa di S. Giuseppe in contrada Anna’.
(foto Giuseppe Latella)
Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da una forte emigrazione.
Nella cittadina c’è stato un notevole incremento demografico dovuto anche al trasferimento, negli anni 70, degli abitanti di Roghudi e Chorio di Roghudi. L’economia si basa sull’agricoltura, la pesca, l’impresa familiare, i Servizi, il commercio, ci sono numerosi centri commerciali, un forte sviluppo turistico e un notevole aumento dei servizi e del settore terziario.
LUOGHI DA VISITARE:
Cesare Minicuci descrisse la migrazione dei contadini da Pentadattilo a Melito, verso la metà del 1600 alcuni coloni scesero da Pentadattilo a Melito stanziandosi in altura vicino alla “Torre” di forma rotonda fatta costruire nel 1550 e che serviva a segnalare eventuali avvistamenti e sbarchi dei pirati alle più vicine Torri di Salto della Vecchia e Capo delle Armi.
(Torre Melito – foto Daniele Dattola)
(Particolare torre -foto Daniele Dattola)
Torri che insieme a quella della frazione di Musa,
(Torre Musa – foto Daniele Dattola)
furono fatte costruire dopo vari assalti da parte dei Turchi, sulla costa jonica, dal Preside della Calabria, Marchese di Cerchiara, Don Fabrizio Pignatelli. Dice il Fiore (Calabria illustrata) che il Pignatelli, Preside di Calabria riflettendo come tenerla guardata, consigliò, e poi con l’approvazione dei Ministri Regi, ordinò la fabbrica delle suddette Torri, non tanto per una momentanea difesa, quanto perché l’una quale prima scorgesse il pericolo col fuoco dimostrandolo all’altra in meno di poche ore venisse avvisato tutto il regno. La Torre di Melito, circa sei miglia distante dalle altre, aveva i suoi torrieri, che, insieme ai cavallari, facevano il servizio della vecchia telegrafia. Vi sono le Torri con tre Torrieri, tre aggiunti e il capitan Torriere (l’ultimo fu il Magnifico D. Saverio Vernagallo di Pentedattilo), i cavallari erano in numero di tre e per il loro mantenimento l’Università di Pentedattilo spendeva ducati 218,70 annui. Attorno alla Torre furono fabbricate le prime case e man mano che le incursioni si andavano sempre più scemando ai primi si unirono altri estendendosi vieppiù verso il basso. Così al di sotto della Torre sorse il cosiddetto “Paese Vecchio” l’antica Comunità di Melito che tutt’oggi sopravvive con le piccole abitazioni, con le viuzze caratteristiche, con le sue fontane, e con la sua piazza grande, dove nei tempi passati ebbe la sede Municipale ed infatti viene anche chiamato questo posto “Municipio vecchio”. Qui si svilupparono le prime attività commerciali.
(P.zza Municipio Vecchio durante una manifestazione – foto Daniele Dattola)
Questo borgo man mano si ingrandì e il centro del paese divenne la via XIX agosto,
(Negozio Spinella Antonio)
( Via XIX agosto negozio emporio armeria Dattola )
qui c’erano nel passato vari negozi l’emporio-armeria dei “Dattola”, i negozi dei Spinella,
dei Sarica, dei Suraci etc.. Comunque il borgo antico del Paese vecchio ha mantenuto fino ad oggi le sue caratteristiche, tanto è vero che nella via XIX agosto, è stato tolto l’asfalto e messo in luce il vecchio lastricato di pietre.
Dopo il 1908 il Paese ebbe enorme sviluppo verso la Marina nella parte pianeggiante, il centro della cittadina si spostò dalla via XIX agosto al Corso Garibaldi, che è la strada più bella, con una ottima viabilità pedonale, ricca di attività commerciali, e palazzi signorili,
(Vecchio Corso Garibaldi)
(Nuovo Corso Garibaldi – foto Ninni Marra)
inizia con una statua dedicata ai caduti della Guerra finisce davanti la piazza della Stazione Ferroviaria con una bellissima fontana i cui alti zampilli si vedono dall’inizio del Corso.
Altre strade di rilievo sono la via delle Rimembranze, tutta alberata, che è posta sopra la Via Nazionale, con il Comune, L’asilo Matilde Evoli, la Pretura, la Scuola Elementare, l’Ufficio Imposte dirette; il Lungomare, la via Roma.
(Particolare case Pentadattilo e chiesa SS. Pietro e Paolo – foto Daniele Dattola)
(foto Daniele Dattola)
Gigantesca rupe a forma di mano, con abbarbicato alla base il paese. Posto a circa 6 Km. da Melito, la sua altezza è di 454 mt. sul livello del mare. Il nome deriva dal greco Pentedaktylos “cinque dita” E decisamente un borgo antico di notevole bellezza ormai conosciuto in tutto il mondo. E’ depositario di un patrimonio storico-architettonico importantissimo. E’ indispensabile raggiungerlo a piedi.
(Pentadattilo Canonica Dittereale – foto Daniele Dattola)
(Portale Canonica Dittereale – foto Daniele Dattola)
Sul culto e sulle chiese di Pentedattilo c’è un lavoro, interessante, di Cesare Minicuci sul Monastero della Candelora del 1908, perché all’inizio della piccola pubblicazione, per conoscere le condizioni religiose del secolo XVI, durante le visite dell’arcivescovo reggino Mons. Annibale d’Afflitto dal 1594 al 1638, egli dice, che risulta dagli atti che numeroso era il clero, che trovava occupazione nelle molte chiese esistenti in quel territorio, in alcune delle quali il culto veniva mantenuto dalle oblazioni dei fedeli. Ed egli fa menzione delle chiese visitate, dei molti arredi sacri, delle vistose rendite non solo della chiesa arcipretale dei SS. Apostoli Pietro e Paolo e della Dittereale di S. Costantino, ma ancora delle chiese della Candelora, della chiesa parrocchiale di San Nicola, soppressa dal d’Afflitto il 1 nov. 1605, con i beni aggregati alla Dittereale di S. Costantino; delle Chiese del Salvatore, della Madonna delle Grazie, di S. Maria della Scala, incorporata all’arcipretale dei SS. Fabiano, Rocco e Sebastiano di S. Leonardo e dell’Annunziata. Il Minicuci continua questo interessante escursus dicendo che oltre a queste chiese esistevano a quel tempo altre 24 chiesette, cadenti e in via di demolizione.
Da visitare la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, patroni di Pentedattilo.
(foto Daniele Dattola)
(foto Daniele Dattola)
la chiesa della Candelora, con la statua marmorea della Statua della Candelora del 1564 dono del Barone Giov. Demetrio Francoperta, la Canonica dittereale, il convento dei Domenicani, i ruderi del Castello, il borgo con le caratteristiche case. Si respira, durante il percorso a piedi un’atmosfera di antico silenzio, lo scenario suggestivo, rievoca la tragedia avvenuta in quei luoghi. Pentedattilo è così conosciuta che spesso in questi luoghi sono stati girati film importanti; Pietro Germi girò “Il Brigante di Tacca di Lupo” nel 1952, nel 1958 Luigi Comencini “Il ragazzo di Calabria” e cosi via. Dolente nota, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, in pratica luogo che raccoglieva tutto quello che era rimasto è stata spogliata anch’essa.
(Arredi e quadri all’interno della chiesa dei SS. Pietro e Paolo – foto Daniele Dattola)
Nella chiesa vi erano sei quadri di enorme valore, tutti rubati: Nell’altare Centrale una tela con la riproduzione dell’Assunzione di Maria Vergine, ora esiste una riproduzione da una vecchia foto a colori.
(Altare maggiore chiesa SS. Pietro e Paolo – foto Daniele Dattola)
Un altro quadro rubato di forma semicircolare era vicino la cappella degli Alberti “La visitazione di Maria Vergine e Sant’Elisabetta”. Nell’altare di destra c’era una quadro di S. Antonio Abate, e ancora un altro detto “Il volto Santo”. Santo padre Catanoso che fu parroco di Pentadattilo istituì in un periodo successivo “L’Ordine del volto Santo”. Questi due ultimi quadri del volto Santo e di S. Antonio Abate, grazie ad una foto del passato ritrovata, dall’associazione Pro-chiesa di Pentedattilo presieduta dall’avv. Flachi Pasquale ha ordinato la riproduzione fedele dei due quadri, all’avv. Dattola Giuseppe che mirabilmente li ha eseguiti.
(S. Antonio Abate)
(L’Autore del volto Santo, Avv. Dattola Giuseppe)
(Statua S. Pietro – foto Daniele Dattola)
(Particolari Case Pentadattilo – foto Daniele Dattola)
(Entrata ruderi Castello – foto Daniele Dattola)
Molti arredi antichi, tra cui documentazione molto importante registri di nascite morti etc., diciamoci la verità, che giacevano abbandonati, e che sono un patrimonio inestimabile, sono stati naturalmente portati via e oggi si trovano alla curia arcivescovile o chissà in quali altri posti. Colgo questa occasione per rivolgere una fervidissima preghiera alle Autorità che presiedono al patrimonio storico di questo litorale, e cioè in primis alle Autorità ecclesiastiche, a quelle Provinciali, al Comune di Melito P.S., diretto discendente di tanto passato, di volersene insieme alle Associazioni, una della chiesa di Pentadattilo e l’altra Pro-Pentedattilo dirette mirabilmente dai Presidenti in ordine Avv. Pasquale Flachi e Giuseppe Toscano di volersene interessare: reperendo quei libri, gli arredi antichi per farli riportare alla detta chiesa di Pentedattilo dove furono compilati o in un luogo accessibile a tutti, un archivio per fare custodire gli stessi, con la dovuta cura, perché questi atti e questi arredi, anche in fotocopia, possano essere consultati e visti dai cittadini che ne facciano richiesta.
Spero che questa richiesta non rimanga a lungo trascurata e disillusa, gli amministratori della cosa pubblica devono curare queste cose, gli atti della nostra storia di Pentedattilo dello sbarco di Garibaldi etc. devono essere resi pubblici e consultabili dagli storici e dai cittadini.
Troppo tempo è trascorso invano per reperire quei registri, e nel reintegrarli alla detta chiesa di Pentedattilo alla quale a buon diritto appartengono – a meno che non li si voglia affidare a un competente Museo – e dalla quale tanta parte di storia regionale e paesana sprizzò dalle loro pagine.
Posto sulla via Nazionale, nel bivio per Taranto-Reggio Calabria e l’Aspromonte, fu fatto costruire dagli Alberti (Don Domenico)nel 1667, di notevole stile, nell’entrata principale due splendide colonne con capitelli dorici sicuramente recuperati da qualche precedente monumento., importanti le due epigrafi in latino “parce Manu viator” che tradotto:”
Palazzo Alberti
Fermati un poco, o viandante, pregusta almeno con gli occhi, questi ameni giardini, deliziose dolcezze che il Marchese di Pentedattilo Domenico Alberti scelse fra i resti della Magna Grecia e pose sotto il patrocinio dell’Immacolata Vergine protettrice di questo luogo”.L’altra “Laeta sub Hoc Coelo” che tradotto: “ Ecco che la gioconda aurea lietamente spira sotto questo cielo; ora spandendo dolcezza, splendono le terre di miele, nel tempo di Don Domenico Alberti marchese di Pentedattilo, nell’anno del signore 1667”. Essa fu utilizzata come residenza del Marchese di Pentadattilo sede delle sue attività agricole. Durante lo sbarco di Garibaldi “poiché il bombardamento aveva già ferito e uccisi parecchi volontari, l’Ospedale fu posto all’altro capo del loro schieramento, dentro Melito stesso, nel grande palazzo, pure dei Ramirez, ma in origine anch’esso degli Alberti, già splendida villa munita e indi abbellita da verzieri alveari e statue, sita in piazza casino che da essa suppongo prende il nome.
In quell’edificio furono trasportati, e curati, e precisamente al pianterreno nei due bassi posti a destra guardando, i moribondi e i feriti, di quella giornata. Tutto ciò nella tarda mattina di quella domenica d’agosto 1860. E questo fu, se non erro, per quanto sembri assurdo e improbabile, l’unico luogo di cura, posto al limite dello scacchiere a circa 3 km dal punto di sbarco, che lo Stato Maggiore eresse nel settore di Melito. E i feriti arrivavano dignitosi e silenti”.
E’ stata eretta nel 1960, in commemorazione dello sbarco di Garibaldi, in località Rumbolo, In direzione della stele sulla spiaggia vi sono i resti della nave “Torino”, davanti alla stele una tomba contenente i resti di alcuni garibaldini.
(Stele Garibaldi con sfondo pentadattilo – foto Daniele Dattola)
“Atterrati dal piombo del Fulminante inseguitore, poco dopo effettuato lo sbarco nel XIX agosto 1860” La stele sta indicare il punto dell’avvenuto sbarco. “E cosi in contrada Majorana, lido di Rumbolo, a circa 3 Km di Melito, l’aurora d’agosto fece vedere agli abitanti di Melito il piroscafo garibaldino, letteralmente arenato di lungo sulla spiaggia di Melito, e da quello discendere un numeroso numero di camice rosse, e la spiaggia si riempi di casse e materiale logistico, e quegli uomini si sparsero per la marina e dopo invasero le contrade.
L’altra nave il Frankilin dopo lo sbarco prese il largo. I Melitesi rimasero stupiti, tanto da abbandonare precipitosamente le case, e ripararono sulle alture prospicenti la marina di Melito, Solo alcune famiglie, rimasero nel paese.
Non sapendo chi essi fossero e cosa intendevano fare. Ma ben presto la voce si sparse che quella spedizione era composta da volontari agli ordini di Garibaldi e che quei giovani perseguivano un fine non a tutti accessibile, fare l’Italia unica e pur i Melitesi non essendo ostili, prevaleva in loro il sospetto e la paura. Si appurò che quel meraviglioso vapore era il “Torino” e che quei giovani stavano compiendo una impresa di liberazione e riscatto. Sotto gli ordini di Garibaldi, i più si fecero coraggio e cominciarono a scendere specialmente i più giovani e arditi alla riva.
Tutta la spiaggia era ormai piena di casse e bagagli, dalla battigia fin su alla brughiera, dove nel 1870 sorse la strada ferrata. Il Torino si era arenato parallelo al lido e non molto dopo apparirono le navi borboniche che iniziarono un intenso bombardamento. Intanto per la spiaggia era un pullulare di camice rosse ed attrezzi. Essi non avevano artiglieria, in cambio avevano molte casse e fardelli, i militi si attestavano sempre più lungo il litorale permanendo nelle prime ore al margine di Melito.
Quella truppa era composta in maggior numero da giovani, settentrionali , aitanti, avvenenti e gentili. Parlavano un linguaggio quasi incomprensibile.. erano “forestieri” ma quanti erano? Si poteva arguire intorno ai due o tremila uomini, e forse più, perché si erano arenati? o forse per la poca conoscenza dell’approdo o forse per la fretta di scendere o per la volontà di scendere i bagagli senza problema. L’armamento dei soldati era sobrio e leggero, il loro contegno misuratamente riservato piano piano diventava sempre più chiaro e comunicativo. Il sole s’era alzato da poco e le sagome delle navi reali apparvero all’orizzonte.
Il comando legittimo di Reggio era stato avvertito tempestivamente dello sbarco di Garibaldi e delle sue camice rosse. Il telegrafo ad asta della Torre di Melito, nell’alba del 19 agosto 1860, trasmise ed avvertì la Centrale di Reggio che Garibaldi era sbarcato coi suoi sulla spiaggia di Rumbolo.
Il telegrafista fu per la storia Don Carmelo Massa, figlio di un impiegato governativo borbonico, proveniente da Sorrento. Persona molto nota proba, colta e fine. Abitava in via XIX agosto, !.. Onestissimo e ligio al suo dovere, non poteva non trasmettere il dispaccio a Reggio, egli telegrafò: – Un corpo di esercito sconosciuto, i cui militi indossano una camicia rossa, è sbarcato da un piroscafo prima dell’alba a Ovest di Melito. Le operazioni di sbarco continuano.- Reggio ricevette e riscontrò. Del resto il passaggio era stato avvistato dalle altre Torri circostanti litoranee. Questo particolare lui lo confessò più volte dopo l’avvenimento e lo raccontava sempre alle altre famiglie che abitavano in via XIX agosto, pur essendo tanto parco di parole. E’ vero che Garibaldi cercò di bloccare eventuali comunicazioni che partivano dalle Torri, ma l’intervento fu tardivo. Il sole non era ancora alto nel cielo (potevano essere le otto come le dieci) quando a circa mezz’ora da quel primo colpo isolato, apparvero e si profilarono a ponente, sopravento del Capo Leucopetra (delle Armi) , due navi da battaglia dirette alla volta del mare di Melito. Erano due navi reali: la fregata Fulminante e la corvetta in sott’ordine l’Aquila che accorrevano a contrastare la spedizione garibaldina. I vecchi asserivano che quel primo colpo era stato sparato da oltre Saline, a salve o senza bersaglio, quale un segnale compiacente d’avvertimento da parte di quest’ultima nave, acciocchè i volontari si affrettassero a mettersi in salvo. Poco dopo cominciavano a cadere le prime palle sulla riva e sulla spiaggia. La stele in cemento, con alla base una stella a dieci punte è contrassegnata da vari graffiti che la decorano, pugnali, sciabole, trombe, un canone, un tamburo, un’aquila etc.
(foto da cartoline)
(foto da cartoline)
Edificata per conto degli Alberti, fu in seguito acquistata dai Ramirez, ristrutturata nel 1980 è adibita ad albergo ristorante.
(Entrata ristorante Casina dei mille – foto Daniele Dattola)
“Il primo pensiero di Garibaldi fu quello, appena sbarcato, di stabilire un suo quartiere generale. E questo fu posto nei pressi della rada, entro l’antica palazzina dei signori Ramirez, eretta sul culmine di un lieve declivio ad Anna’. Questa villa, contornata da giardini, era stata un tempo luogo di soggiorno del famoso ed infelice castellano di Pentedattilo, l’Alberti. Si trovava essa a circa 600 metri dal mare e a quasi altrettanti dalla destra di Rumbolo. Ivi si alloggiò Garibaldi col suo Stato Maggiore. Il suo covo fu tenuto segreto anche agli abitanti più vicini, e fu celato del tutto a quelli di Melito. Il primo cannoneggiamento voleva forse saggiare la resistenza garibaldina, e solo più tardi esso divenne a mano a mano molto più intenso, così che i volontari ancora impacciati sulla spiaggia, ne cominciarono a sentire progressivamente gli effetti. Fu preso di mira il Torino, e forse perché il trasporto non era terminato, non tardarono a cadere le prime vittime, il cui numero era destinato ad aumentare nel corso della giornata e di ora in ora.
Intanto nel quartiere generale posto nella casina Ramirez a ridosso dell’antica strada consolare che passando da Melito mena a Reggio e oltre, il cannoneggiamento intanto era divenuto continuo ed assillante. Allora Garibaldi volle osservare il tiro e si affacciò a uno di quei balconi prospiciente il mare, precisamente quello a sinistra di quella villa, e Garibaldi osservava il piroscafo abbandonato e in fiamme, (molti sostengono che invece furono gli stessi garibaldini ad appiccicare il fuoco per non lasciare la nave alla mercè dei borboni). Intanto le navi nemiche si avvicinavano sempre di più alla riva e la tradizione vuole che Garibaldi appena affacciato, contornato dai suoi più intimi ufficiali, quando fu avvistato e pare riconosciuto, da una delle navi borboniche: L’Aquila. E da quel bordo fu tirato un colpo contro di lui. La palla sferica non dirompente, tuonando colpì l’architrave del balcone, un pò al disopra della cornice, a destra verso l’angolo esteriore del prospetto, a meno di un metro dalla testa di Garibaldi, conficcandosi nel muro. Dove tutt’ora è infissa, ed è ben visibile a tutti i visitatori.
(Particolare palla di cannone – foto Daniele Dattola)
Ma il duce della camice rosse fu salvo! Poco dopo un secondo proiettile irrompeva dall’altro balcone di centro, aperto, e attraversando tutta la casa senza arrecare danno ad alcuno, piombava nei giardini posteriori. I memori di quel giorno non parlavano di altri tiri contro la villa, e tanto meno d’inizio di demolimento dell’edificio stesso. Fu questo il motivo, che fece decidere a Garibaldi di cambiare quartiere, trasferendosi in un casolare un po’ più distante dal mare e riparato da quello per una collinetta, ingolfato ad ovest nel verde. In contrada xxxxxxxxxx nel Comune di Montebello nell’abitazione di tal xxxxxxxxxxxxxxxx, modesto massaro del luogo.. In questo nuovo rifugio dimorò per qualche giorno, vi dormì la notte, e là ricevette i suoi luogotenenti, e da lì impartiva gli ordini. Ma anche questo novello asilo fu tenuto celato a tutti; e particolarmente ai Melitesi, pei quali si può dire che la persona di Garibaldi restasse per tutti ignota.; salvo qualche frammissione posteriore impropriamente confusa dalla seconda venuta di lui, nel 1862”.
SANTUARIO DI MARIA SS. DI PORTO SALVO E LUNGOMARE
All’inizio del Lungomare vi è la splendida Piazza di Porto Salvo con il Santuario della Madonna Maria SS. Di Porto Salvo. Fatto costruire per volere di Don Domenico Alberti, Marchese di Pentadattilo, nel 1680, su approvazione dell’Arcivescovo Ibanez De Villanueva. L’Alberti era un uomo religiosissimo e rivolse supplica all’arcivescovo per ottenere la licenza a poter costruire la chiesa di Porto Salvo, perché aveva una particolare devozione verso la Vergine. Il Marchese inoltre per la concessione avuta assegnò una congrua dote di ducati 7 annui di cui sei per la celebrazione di una messa la settimana. L’altro per la tenuta della chiesa, obbligandosi di pagare tale somma il 15 agosto di ogni anno con quanto ricavato dalle terre aratorie della contrada Annà. La chiesa fu iniziata a costruire nel 1637 in contrada Maiorana, con il titolo di Beatissima Vergine della Consolazione, ai tempi dell’arcivescovo Annibale d’Afflitto, essa già esisteva iniziata nelle sue fondamenta, ma mai portata a termine. Il quadro della Madonna di Porto Salvo era preesistente alla costruzione della chiesa, nulla si sa sulle sue origini, la tradizione popolare asserisce che il quadro comparve davanti l’attuale chiesa dove prima esisteva una piccola cappella, portato dalla Turchia sopra una nave, tanto è vero che il popolino canta durante la processione questa cantilena:”Di la Turchia si partiu, intra na navi fu purtata. E sbarcò cu fidi pia, sutta Melitu Maria”.
(Santuario Maria SS. Di Porto Salvo – foto Daniele Dattola)
Ci sono nella tradizione altri racconti fantastici che è meglio tralasciare. L’autore è ignoto ma l’opera è magistrale, la tela è delle dimensioni di 1.55×1,28, ha avuto varie vicissitudini, restaurata, rubata e poi ritrovata, è comunque un’opera pregevole. Ogni anno il quadro viene trasportato da Melito nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Pentadattilo e ciò sta a dimostrare che questa inizialmente fu volontà del Marchese di Pentedattilo di ospitare tra le mura del suo castello la divina protettrice, ed era un segno di stima nei confronti di colui che aveva fatto costruire la chiesa di Porto Salvo. Il quadro addobbato con doni preziosi dei fedeli viene il 26 marzo di ogni anno portato dai cittadini di Melito in processione a Pentedattilo e qui tenuto per un mese. Il penultimo sabato di aprile i cittadini si recano di primo mattino, molti a piedi, per preghiera e voti, fin alla chiesa di Pentedattilo. Inizia il ritorno e alla fiumara Tabacco, i portatori della vara di Pentedattilo consegnano il quadro ai portatori di Melito che trasportano il quadro fino al Santuario di Porto Salvo, qui ci sono le manifestazioni civili con bancarelle, una volta la fiera bovina, giostre e manifestazioni canore. La festa dura due giorni Sabato e Domenica. La Domenica il quadro della Madonna viene portato in processione per le strade di Melito con la banda musicale e al rientro la festa culmina con manifestazioni canore e spettacolari giochi d’artificio. Il popolo di Melito ha una grande venerazione del Santuario e della sua sovrana Protettrice, tanto è vero che nel passato (1863) per distinguere il comune dagli altri paesi col nome simile fu aggiunto il nome della sacra effigie.
(Quadro Maria SS. Di Porto Salvo – foto Daniele Dattola)
(Particolare quadro – foto Peppe Latella)
(Durante la processione – foto Peppe Latella)
(Gruppo portatori vara con il parroco Don Cosimo Latella – foto P. Latella)
(Piccola cappella votiva foto con Pino e Daniele Dattola)
(Entrata del quadro in chiesa – foto P.Latella)
Il lungomare affacciato sul mare Jonio, mostra a sud-ovest la Sicilia, si vedono nelle serate limpide Catania, l’Etna, Taormina etc. e a Nord Pentedattilo, il paese vecchio. Sul lungomare si possono fare delle salutari passeggiate, inoltre d’estate vengono montati sulla spiaggia splendidi lidi, tra cui: L’Acrobatic, Il lido dei Sogni, la Plage-du Soleil, kokorikò, Paradise Beach, Il Tortuga, Blue Dreamm e i Camping Stella Marina, e Red Moon, che mettono in evidenza che la cittadina sta assumendo una vocazione Turistica.
Si sostiene che durante il medioevo in questa zona di Porto Salvo e oltre esisteva un Porticciolo chiamato “porto Venere” e che il Santuario della Madonna di Porto Salvo è sorto su un altro santuario dedicato a Venere che era la Dea dell’amore, protettrice dei marinai infatti il suo nome greco Afrodite significa emersa dalla spuma del mare. Virgilio definì il tratto di mare di fronte Melito “navifragum” (esposto ai nubrifagi).
(foto Daniele Dattola)
Prosegue il culto dell’Immacolata Concezione iniziato nel 1682 nella chiesa della Concessa, dismessa in quanto demolita per costruire un palazzo. Il 22 aprile 1820 fu ordinato il trasferimento della Dittereale S. Costantino da Pentedattilo a Melito sotto la denominazione di “Immacolata Concezione”. La chiesa ebbe piena funzione nel 1852 con la nomina dell’arciprete Antonino Evoli.
Fu più volte riparata e ristrutturata specialmente in occasione dei terremoti, quello del 1908 la distrusse e fu riedificata nell’anno 1918. E’ uno degli edifici più antichi di Melito, ricco di opere tra cui un S. Francesco da Paola probabilmente proveniente dalla vecchia Concessa, quadro del 600 notevole dal punto di vista artistico. Notevole anche il quadro raffigurante la Madonna Immacolata che viene portato in processione l’08 dicembre di ogni anno. Una statua lignea di scuola napoletana che raffigura la Madonna. Una statua lignea raffigurante S. Vincenzo. La statua lignea raffigurante S. Francesco da Paola tutte del 1600. La chiesa di Melito e di Pilati è magistralmente diretta da Don Benvenuto Malara che guida la comunità di Melito da almeno 40 anni. Egli è protagonista in molte azioni umanitarie.
Tutti sanno che molte chiese nel reggino durante il terremoto del 1908 vennero distrutte completamente, infatti da parte dell’arcivescovado fu predisposto un piano per la ricostruzione delle chiese a cui partecipò monsignor Paolo Dattola e Mons. Cottafavi mandato dal papa pro-tempore.
Distrutta la Chiesa arcipretale di Melito fu edificata una chiesa baracca al centro di Melito accanto al cinema Teatro Dattola, all’inizio del Corso Garibaldi dedicata al culto di S. Giuseppe.
(Chiesa baracca di S. Giuseppe)
I “vecchi melitesi non scorderanno mai la figura di Don Giuseppe Calarco, nominato parroco di S. Giuseppe nel 1936 che resse tale parrocchia per circa 45 anni fino al 30 settembre 1980, Uomo di grande umanità, umile, molto serio amato e stimato dal popolo Melitese. Egli riuscì nel suo sogno quello della costruzione di una nuova chiesa di S. Giuseppe, chiesa che fu eretta al centro di Melito e consacrata nel 1969.
(chiesa S. Giuseppe – foto Giuseppe Latella)
Oggi l’attuale chiesa di S. Giuseppe è retta da Don Cosimo Latella, che si occupa anche del Santuario della Madonna di Porto Salvo ed è cappellano dell’Ospedale di Melito.
Anche in questa chiesa vi sono delle opere importanti da vedere.
Una delle prime Strutture Sanitarie Calabresi, nata dopo il disastroso terremoto del 28 dicembre 1908. In quei tempi le strutture sanitarie non si trovavano ne a Melito ne nelle vicinanze di Melito. La situazione socio sanitaria di quell’epoca prima del terremoto era disastrosa, basti pensare alla malaria, alle malattie infantili, l’anchilostomiasi, la denutrizione cronica. E allora nasce nell’uomo Tiberio Evoli un’idea, quella di creare un Ospedale…un sogno….L’idea viene presa da tutti come un’utopia un’opera impossibile. T. Evoli, medico condotto, nato a Melito P.S. il 18 dicembre 1872, figlio di Giacomo Evoli medico condotto anch’esso e Filomena Lagana’, già fondatore insieme con Angelo Celli di un sanatorio antimalarico per la cura dei malati cronici a Bagaladi,
in occasione del terremoto del 1908, porta avanti con forza la propria idea (Il sogno diventa realtà!!!!).
Nel 1909 inizia con una tenda e dopo con una baracca ospedale, avvalendosi dell’aiuto e collaborazione di un gruppo di amici ……..Pietro Timpano di Bova, Vincenzo De Angelis di Brancaleone e il farmacista Giovanni Sculli di Ferruzzano e tanti altri ancora. Tutti rispondono, tutti inviano denaro, I comuni, la Provincia, l’Italia Settentrionale, ma dietro le iniziative finali c’è sempre lui che magistralmente organizza incontri di beneficenza e una massiccia campagna di stampa.
Tiberio Evoli non si ferma mai, partecipa alla lotta contro l’analfabetismo in Calabria, nel 1911 fonda l’asilo infantile “Matilde Evoli, diventa Presidente dell’Ordine dei Medici, nel 1919 viene eletto Deputato e fa parte del gruppo socialista riformista nella circoscrizione di Reggio, fonda nel 1925 il centro Calabrese per la cura dei tumori, nel 1944 inizia la costruzione di tre nuovi padiglioni e della Chiesa.
Alla fine dopo alterne vicende la politica strappa via a lui stesso l’Ospedale che aveva creato. L’ospedale diventa pubblico e lasciatemelo dire tutti noi sappiamo della situazione in cui versa la sanità in Italia, nonostante tutto l’Ospedale di Melito oggi continua a vivere, grazie alla posizione strategica in cui si trova, all’amore degli operatori, ma non certo sopravvive per il modo con cui è gestito. Gli attuali amministratori non hanno un interesse specifico verso di esso, io dico non lo guardano con amore, non lo sentono loro, comunque deve essere la politica con i loro uomini ad imporsi di più. L’Ospedale T. Evoli ha tutti i servizi di base necessari per essere un buon Ospedale e noi Melitesi, siamo orgogliosi di questa Opera.
Monumento ai Caduti delle Guerre
(foto di Giuseppe Latella)
Posto all’inizio del Corso Garibaldi, una statua bronzea, con dietro una caratteristica scalinata sulle due lapidi scritti i nomi di 133 caduti (85 nella prima guerra mondiale, 48 nella seconda), soldati di Melito morti in battaglia.
LARGO JACOPINO
Un terreno donato dai figli Silvio e Italo Jacopino, posto al disopra della Via Roma tra il monumento ai caduti e villetta XIX agosto, una piazzetta dalla forma di conchiglia dedicata all’Ufficiale della marina Militare Giovani Jacopino (1885-1957) prese parte a numerose battaglie, tra cui quelle di Punta Stilo, Capo Teulada e Gaudo Matapan, fu Ufficiale Istruttore all’Accademia della Marina Militare di Livorno, fu uno dei suoi allievi Giovanni Familiari, che passò dopo nell’aviazione. Sposò Teresa Dattola.
VIALE DELLE RIMEMBRANZE
(Viale delle Rimembranze – foto Giuseppe Latella)
(Palazzo del Comune – foto G. Latella)
(foto da cartoline)
Fu costruito negli anni 30, è stata sempre una delle più belle arterie di Melito, posta al disopra della via nazionale, percorribile solo a piedi, lungo la sua passeggiata sono stati piantati 59 alberi, a ricordo di altrettanti soldati caduti nella guerra, E’ la passeggiata che ha sempre favorito le meditazioni e i ricordi, per questo Le fu dato il nome di viale delle Rimembranze.
PIAZZA LUIGI RIZZO
(foto Giuseppe Latella)
Posto al rione Marina a ricordo di vite spazzate via dalla guerra nel 1943, 7 bambini e un sottufficiale, 5 in seguito allo scoppio di una mina, hanno anche trovato posto 5 marinai e 3 civili. Un impianto scenografico che ha caratterizzato il posto, uno spazio commemorativo rappresentato da una colonna in stile ionico e una vela unite tra loro da una lapide con i nomi dei caduti.
(foto Lucia Mangeruca)
(foto Daniele Dattola)
Dalle foto del passato si capisce che Melito aveva una propria vita, c’erano molte iniziative, in vari campi per es. il musicale ecco le foto:
Ed ecco un’altra foto che dimostra l’attività teatrale:
E vennero i tempi bui, evito di inserire foto del periodo della guerra, tratterò l’argomento in un altro capitolo inserisco solo due:
(foto inedita)
Abbiamo parlato di cose belle e meno belle, ora parliamo di una cosa brutta. La Melito attuale è stata deturpata da questo “muro della vergogna” attraverso esso le FF.SS. ci danno un servizio, ma quanto è costato alla nostra Comunità questo servizio? è vero c’è il fenomeno dell’erosione delle coste, ma a detta di molti quanto ha influito questo muro a far sparire 100 mt. di spiaggia, molti sostengono che le onde altissime durante l’inverno sbattendo con forza contro il muro , non avendo altro sfogo, ritornano indietro con violenza trascinando la sabbia che viene portata via dalle correnti il risultato è quello che vediamo:
(foto da cartoline)
(foto Daniele Dattola)
ra parliamo un po di sport, avete visto “in Notizie” le foto inerenti le Olimpiadi 1960 dove si parla dei tedofori che hanno portato la fiaccola olimpica attraverso Melito, abbiamo accennato che alcuni di questi giocavano nella Melitese, Melito ha sempre avuto una buona tradizione calcistica anche se, bisogna dire che a parte un campo di calcio nemmeno molto curato non ci sono strutture dedicate allo sport se non un palazzetto dello sport fatiscente. Eppure La Melito di oggi vanta un campione in serie A, Fabio Caserta e allora signori politici datevi da fare.
(foto Giuseppe Latella)
(foto Giuseppe Latella)
03-10-2007
daniele dattola
Lascia un commento