BRUNO DATTOLA, nato a Reggio Calabria nel 1830, era figlio di Paolo Diego Pasquale Dattola -nato a Reggio Calabria nel 1800-, ed Eleonora Labate. Bruno Dattola, fratello di Bartolomeo, discendeva da una danarosa famiglia di Reggio Calabria soprannominata ‘Dei boscaini’ in quanto proprietari di un bosco dell’estensione di 18 ettari. Si stabilì nel Comune di Melito di Porto Salvo per svolgere quale possidente l’attività di lavorazione e commercio del bergamotto e si sposò con Giovanna Orlando nel 1866.
Bruno e Giovanna erano una coppia di notevole onestà e forte personalità. Dal loro matrimonio nacquero i seguenti figli:
Giuseppe, Paolo, Santo, Antonio, Maria, Teresa, Eleonora.
Bruno Dattola morì a Melito di Porto Salvo nel 1907 all’età di 77 anni. I figli di Bruno Dattola, erano tutti possidenti, uomini di forte carattere, stimati commercianti.
PAOLO DATTOLA di lui ho già accennato nella parte che riguarda Rosa Dattola di Reggio Calabria in “Vedi Da Bartolomeo Dattola a oggi”.
SANTO DATTOLA nacque a Melito di Porto Salvo nel 1862, sposò Marianna Jacopino nel 1906.
fu un abile commerciante, creò il primo albergo a Melito, un distributore di benzina, un bar e realizzò al centro del paese una serie di fabbricati detti i ‘4 Angoli di Melito’ crocevia tra Reggio Calabria, Taranto e l’Aspromonte.
Egli ebbe i seguenti figli: Bruno, Carmelo, Maria Bianca, Gianna Dattola.
Bruno Dattola, nato a Melito di Porto Salvo nel 1808, deceduto a Roma nel 1992. Si sposò con Nazarena Ponziani, svolse l’attività di commerciante ed era proprietario dell’omonimo bar, posto all’inizio del Corso Garibaldi.
Bruno ha avuto i seguenti figli: Anna Maria, Giovanna e Santo. Anna Maria Dattola, vive a Roma dove insegnava musica in quanto è grande esperta di pianoforte e studiò tale strumento a Cremona. Giovanna Dattola, anch’essa vive a Roma ed aiutava suo padre a Roma nelle proprie attività di gestione di un locale.
Santo Dattola, vive a Milano ed è sposato con Franca Maspero
(Matrimonio Santo Dattola e Franca Maspero da sn Giovanna e Annamaria Dattola)
ed ha avuto 2 figli:
Francesca e Massimo Dattola.
CARMELO DATTOLA, nato a Melito P.S, nel 1910, uomo semplice, coerente con le proprie idee, amava definirsi “l’amico del popolo”, per il suo altruismo, tutti i cittadini lo chiamavano “Conte”, militante per lunghi anni della propria vita nel partito della Democrazia Cristiana , fu vice Sindaco del Comune di Melito P.S., fu promotore del trasferimento dell’abitato di Pentedattilo e presentò al Ministero dei Beni Culturali un progetto per la salvaguardia e rivalutazione turistica del Borgo Antico che non fu mai attuato.
(Presentazione a Zaccagnini del progetto per la salvaguardia e rivalutazione turistica di Pentedattilo)
Componente del Comitato Provinciale D.C., Segretario di zona e della Sezione D.C., durante la sua militanza nella Democrazia Cristiana fu amico del Presidente Giulio Andreotti,
del Presidente Aldo Moro,
del Presidente Amintore Fanfani
e di numerosi personaggi politici dell’epoca.
Carmelo Dattola era un uomo di grandi capacità che si metteva a disposizione di tutti quelli che avevano bisogno, ci sono di Lui centinaia di fotografie che per ragioni di spazio non posso inserire tutte, ma Le inserirò successivamente in una pubblicazione dedicata personalmente a Lui. Carmelo Dattola svolse il servizio militare in Africa e nel 1938, fu attendente prima di sua eccellenza il Generale Graziani
in seguito del Vice Imperatore S.E. Italo Balbo.
Proprietario a Melito P.S. del cinema teatro “DATTOLA”, “Il Mio Sogno”. Punto di riferimento per tutta la cittadinanza e per i paesi viciniori, è stato chiuso per la crisi che ha attraversato il cinema.
Carmelo Dattola, prima di sposarsi con Elisabetta Rappocciolo ha avuto tre figli: Anna, Carmelo e Italo, quest’ultimo è deceduto in un incidente con la moto. Anna Dattola sposata col Dr. Domenico Bova, medico chirurgo presso il P.O. di Melito P.S., deceduto. Figli: Adele, Angela, Antonino.
Carmelo Dattola nato a Melito P.S. nel 1934, sposato con Eulalia Prestia, nata nel 1937.
Figli Angela, Italo Sandro, Alberto.
Angela Dattola nata nel 1960, professoressa di lingua inglese presso la Scuola Media Superiore, coniugata con l’ingegnere Giovanni Labate, impresario edile, ha avuto due figli: Eugenio e Daniele.
Italo Sandro Dattola, nato a Melito P.S. nel 1964, Dirigente Amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano, coniugato con Azzinnari Rosetta.
Alberto Dattola. funzionario amministrativo presso il Politecnico di Milano, è coniugato con Difolco Maria ed hanno un figlio di nome Carmelo Alessandro.
Carmelo Dattola fu Santo si sposò con Rappocciolo Elisabetta
ed ebbe 2 figli:
SANTO DATTOLA, medico dirigente del Servizio di Dermatologia del Presidio ospedaliero di Melito P.S., nonchè Presidente dell’Associazione Nazionale Dermatologi ADMG.
ROSANNA Dattola, medico del Servizio di Emergenza dell’ASP n. 5 di Reggio Calabria, si è sposata col Dr. Giuseppe Schirinzi ed ha avuto una figlia di nome Margherita.
(Rosanna Dattola) (Margherita Schirinzi figlia di Rosanna)
Nella foto che segue Santo Dattola in divisa di Ufficiale medico
Santo Dattola, nato a Melito P.S. nel 1950, si è sposato con la Dr..sa Maria Giovanna Laganà, nata nel 1955, dirigente in servizio presso il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, e ha avuto tre figli:
Carmelo nato nel 1988;
Annunziata (Nency) e Elisabetta, gemelle nate nel 1986.
MODESTA DATTOLA FU SANTO, (NUBILE DECEDUTA).
ELEONORA DATTOLA FU SANTO, nata a Melito nel 1912, deceduta nel 2000. Coniugata con Carmelo Cardone, ragioniere che prestava servizio presso il Genio Civile di Reggio Cal., nato nel 1906, deceduto nel 1984.
Ebbe i seguenti figli Marisa, professoressa, coniugata con il Prof. Tommasi Salvatore; Franco morto a 12 anni e un altro figlio di nome Francesco, laureato in Chimica Industriale, membro del Direttivo della Società Chimica Italiana Sez. Calabria presso il Dipartimento di Chimica dell’Università della Calabria (CS), dell’Associazione Italiana di Ingegneria Chimica (A.I.D.I.C.) e del Gruppo Nazionale di Storia e Fondamenti della chimica (G.N.F.S.C.), autore del libro “Acqua Aria Terra Fuoco Storia della Chimica dagli albori a Lavoisier” e autore del libro “Raffaele Piria” medico chimico patriota, innovatore
della chimica italiana”.
Coniugato con Gloria Oliveti autrice del quadro “I quattro elementi”.
Altri figli di Bruno Dattola:
MARIA DATTOLA (fu Bruno e Giovanna Orlando).
Nata a Melito P.S. nel 1884, deceduta nel 1966. Coniugata nel 1905 con Giuseppe Brunone NIPOTE, di Carmelo e Francesca Merlo nato a Reggio Calabria nel 1877 deceduto nel 1930, orefice di origine reggina,
ebbe i seguenti figli:
CARMELO NIPOTE, coniugato con Luisa Curatola
(Carmelo Nipote e Luisa Curatola) (Carmelo Nipote e la figlia Maria)
Esattore a San Lorenzo ebbe i seguenti figli:
MARIA (notaio),
GIUSEPPE, Coniugato con Adele Caristi figli: Maria Luisa Nipote.
BRUNO, detto Nilly coniugato con Pontari Carmela Ivana, figli: Luisa,
laureata in legge e Carmelo, laureato in medicina.
FRANCESCA coniugata Andrea Quattrone figlio: Francesco
FRANCESCA Adelaide NIPOTE detta CILLA, nata a Melito nel 1909, coniugata con Vincenzo DeLeo, ufficiale postale, nell’anno 1937. Morta a Conegliano Veneto nel 1998.
(Matrimonio Cilla e Vincenzo De Leo) (Famiglia De Leo) (Rosella De Leo)
Figli: Rosella, (medico anestesista a Locri), Gino impiegato nelle poste e Pino Professore di scienze. Maria professoressa. Gino e Pino sono entrambi morti.
SALVATORE EGIDIO NIPOTE, nato a Melito P.S. il 26 aprile 1912, coniugato con Pina Giordano a Pompei il 6 luglio 1955, vive in America.
(Salvatore Bruno Nipote)
BRUNO NIPOTE, nato a Melito P.S. nel 1917, fu seminarista col cugino Gino Mandalari. Era maestro e laureato in legge. Coniugato con Gianna Bellino, maestra.
(Bruno Nipote 06.06.1939)
Di Bruno Nipote vi sono una serie di fotografie al fronte GRECO ALBANESE, durante la guerra, la caratteristica delle stesse (pertanto le ho lasciate cosi come sono) è che lui segnava sulle persone una croce se il soldato era deceduto o un cerchio se insignito di medaglia.
(Civitavecchia 1940) (Civitavecchia 1940)
(Fronte Greco Albanese dopo azione pattuglia) (durante azione pattuglia)
(27.03.41 ormai sbronzi) (Civitavecchia 1940)
(Fronte Greco Albanese) (19.12.41 fronte greco)
Nella terza foto a dx dietro c’è scritto:” 19.12.41 dopo la ritirata di Praga, decisamente stanco avvilito per le prime batoste ricevute”.
Il figlio Giuseppe è deceduto a Melito per incidente subacqueo a mare.
ARTURO NIPOTE DI GIUSEPPE, nato a Melito P.S. nel 1919, fu battezzato nello stesso anno, madrina del battesimo Teresa Dattola, maestro, coniugato con Caterina Putortì maestra, Figli: Giuseppe (Sacerdote) e Maria Antonietta.
Anche Arturo come Bruno, dopo il corso allievi Ufficiali fu destinato in Grecia. Il giorno dell’armistizio i Tedeschi promisero agli Italiani (in Grecia) l’onore delle armi e il rientro in Italia.
In effetti non avendo Arturo, optato per la Repubblica di Salò, fu destinato insieme agli altri in Campi di prigionia posti tra la Russia Bianca e la Polonia (CHELM).
Qui a causa dell’avanzata dei Russi fu deportato ai confini tra la Germania e l’Olanda e a causa dell’avanzata degli Americani a varie tappe fu portato nella Provincia di Hannover (Ulsen) e dopo tante pene venne rimesso in libertà insieme agli altri da un corpo Australiano comandato dagli Inglesi.
AURELIO Alfredo NIPOTE, avvocato nato a Melito P.S. nel 1924, coniugato con Dora Familiari, entrambi deceduti.
ORESTE NIPOTE, collaboratore scientifico, coniugato con Giuseppe Ferrigno.
Figli: Loredana (Giudice), Bruno (medico).
ANTONIO DATTOLA fu Bruno Dattola e Giovanna Orlando, nato a Melito P.S. nel 1887. Antonio rimase invalido per tutta la vita a causa dello scoppio di una bomba a mano. Si dice che lui stava tentando di scaricare.
ELEONORA DATTOLA, di Brunone Dattola e Giovanna Orlando. E’ nata a Melito P.S. nel 1889, battezzata nello stesso anno, alla presenza della madrina Filomena Pennestri (sorella maggiore di mia nonna), è deceduta nel 1965.
(Eleonora Dattola)
(Eleonora Dattola con il figlio Canonico Giov. Mandalari)
Eleonora si è sposata con Valentino Mandalari nato a Melito P.S. nel 1879 deceduto nel 1959.
Valentino Mandalari si occupava di dazio. Era possidente, fu vigile urbano nel Comune di Melito P.S. Eleonora e Valentino ebbero i seguenti figli:
GIOVANNI MANDALARI, CANONICO.
Nato a Melito P.S. nel 1917 deceduto nel 1986. Il nome Giovanni gli fu dato in onore della nonna Giovanna Orlando.
Giovanni Mandalari fu ordinato sacerdote nel 1941, conseguì tre lauree, divenne teologo del capitolo metropolitano di Reggio Calabria, insegnò Religione nelle Scuole medie superiori di Reggio. Fu un uomo di spicco nella curia arcivescovile, da giovane venne stimato dall’Arcivescovo Montalbetti che lo fece studiare a Roma all’università Gregoriana a Piazza della Pilotta. Conosceva il tedesco, il francese, il latino e altre lingue. Fu Direttore Spirituale del Seminario. Uomo di grande carisma. Qui lo vediamo in alcune foto durante la sua missione apostolica.
Il canonico Giovanni Mandalari era un uomo di spicco nella Curia Arcivescovile di Reggio Cal., Teologo del Capitolo Metropolitano, conosceva varie lingue tedesco, Francese, Latino. Studiò e si laureò all’Università Gregoriana di Roma. Era Direttore Spirituale del Seminario e insegnò nelle Scuole Medie Superiori di Reggio Cal.
TERESA MANDALARI detta Sisina, nata a Melito P.S. nel 1913 deceduta nel 1997.
Donna di grande sensibilità, lavoratrice, fu sempre di valido aiuto per la famiglia, in ogni occasione, totalmente dedicata ad essa. Viveva con il fratello canonico Giovanni, che ha accudito con amore fino alla sua morte. Tra le Foto che mi diede Camillo, alcune particolarmente belle che riguardano amiche e sorelle di Teresa, che danno il senso del tempo che fu ecco alcune:
ANTONIO MANDALARI detto Totò, nato a Melito P.S. nel 1912 deceduto nel 1975, studiò nelle scuole clericali religione e teologia, con l’intenzione di farsi prete, consegui la maturità classica, lavorava nelle ferrovie dello stato come capo treno, si è sposato con Antonietta Bontà di Staiti .
Non ha avuto figli.
BRUNO MANDALARI, nato a Melito P.S. nel 1915 è deceduto a Milano nel maggio 1992, era capo economo all’Ente Commerciale di Messina ragioniere, aveva frequentato l’Università di Economia e Commercio a Bari. Appena diplomato all’inizio della sua attività lavorava presso la Banca Popolare di Melito ed in quel periodo aiutò molto la famiglia. Era sposato con Enza Strazzulla morta a Messina.
Ha avuto i seguenti figli:
Maria Eleonora Mandalari, insegnante elementare.
Valentina Mandalari,
Valentino Mandalari effettuava ricerche all’Università degli studi di Messina.
ROSETTA MANDALARI, nata nel 1921, abita a Catona, coniugata con Filippo Forti, nato a Calanna nel 1917, deceduto, perito industriale, lavorava nelle ferrovie dello stato quale macchinista.
RICCARDO MANDALARI , Nato a Melito P.S. nel 1926, ferroviere, coniugato con Massa Maria Teresa, deceduto nel 1999, ebbe una figlia Tiziana Mandalari.
CAMILLO MANDALARI, nato a Melito P.S.deceduto nel 2010, pensionato delle ferrovie dello stato, ha lavorato ed è vissuto a Roma, coniugato con Maria Luisa Ceracchi, era il più piccolo dei fratelli Mandalari.
Una mattina, Camillo venne a trovarmi presso gli Uffici della Direzione Amministrativa del Presidio Ospedaliero di Melito P.S., dove lavoravo, e fu cosi che ci conoscemmo. Mi disse che aveva sentito dire che stavo scrivendo un libro sulla mia famiglia , dimostrando in questa occasione e in tutte le altre, una grande sensibilità e amore verso i Dattola visto che anche lui era discendente di una Dattola. Mi raccontò molte cose a me sconosciute, la cui conoscenza mi chiari il motivo della scarsa frequentazione tra le nostre famiglie. In ogni caso la conoscenza di Camillo mi ha permesso, grazie al materiale fotografico e alle notizie che mi ha dato di poter ricostruire questa breve storia dei Mandalari.
Tra le foto queste di un loro parente del passato:
(Oreste Camillo Mandalari)
TERESA DATTOLA (Figlia di Bruno Dattola e Giovanna Orlando)
(Teresa Dattola)
Nata a Melito P.S. nel 1892 , i genitori la chiamavano “la figlia della fortuna”, infatti, in una audizione nella quale è registrata la sua voce, Teresa narrava, che la madre Giovanna Orlando la chiamava la “Figlia della Fortuna”, e che il giorno della sua nascita, papà Bruno, fu chiamato per problemi di immagazzinamento del grano , che fu prodotto in quantità tale che i magazzini non riuscivano a contenerlo.
Giovanna Orlando cantava:“ Il 19 luglio quando si miete il grano è nata una biondina con una rosa in mano di nome Teresina”.
Teresa Dattola è morta a Roma nel 1972. Coniugata con Giovanni JACOPINO nel 1923, ufficiale di marina militare, nato a Melito P.S. nel 1885, morto a Melito Porto nel 1957.
Entrato in Marina come marinaio di leva, fu subito benvoluto e stimato dai superiori che lo invogliarono a continuare il servizio da arruolato. Divenne presto sottufficiale e data la sua preparazione e particolare attitudine è stato da giovanissimo assegnato a svolgere mansioni di Istruttore.
Nel 1902 G. Jacopino, giovane sottufficiale, si imbarcò sulla “Carlo Alberto” rientrata dalla rivista navale di Portmouth (Inghilterra).
Sulla nave Guglielmo Marconi faceva i suoi esperimenti ottenendo i primi successi di radiotelegrafia a distanza (Italia-Inghilterra).
Qui di seguito una foto del tempo che ritrae G. Marconi sulla “Carlo Alberto” tra gli Ufficiali della nave e di spalle il fedele collaboratore Kemp.
Partecipò con la Marina Militare ai soccorsi alle popolazioni terremotate di Messina 28 dicembre 1908.
Partecipò allo sbarco in Libia, guerra Italo-turca 1911.
Prese parte alla Guerra Mondiale 1915-18, imbarcato sulla nave “Napoli”.
(Regia Nave Napoli”)
Durante la 1° Guerra Mondiale al nascere dell’aeronautica molti Ufficiali di vari corpi e fra questi quelli della Marina, divennero piloti di aereo, fra loro Francesco De Pinedo che regalò a Giovanni Jacopino la foto del poeta soldato Gabriele D’Annunzio divenuto anche lui pilota d’aereo.
Dal 1930 fu istruttore di artiglieria all’Accademia Navale di Livorno.
(Foto “Pivoli” Accademia Navale Livorno, anno 1934)
in seconda fila da sin. seduto in 8° posizione Jacopino Giovanni. Nella pen’ultima fila a dx in alto in 3° posizione Giovanni Familiari)
Qui di seguito Giovanni Familiari in divisa di allievo dell’Accademia navale di Livorno, foto data da Familiari a Jacopino con una dedica e firma dietro.
G. Familiari prosegui la vita militare nell’arma dell’aviazione, morì in un incidente aereo dopo aver raggiunto il grado di colonnello. Durante la seconda guerra mondiale partecipò ad azioni di bombardamento in Inghilterra e fu insignito di medaglia d’argento al valor militare.
G.JACOPINO fu dotato di particolare ingegnosità, fu sportivo, campione di tiro a segno, di tiro al volo e nuoto. Vinse varie medaglie, alcune delle quali qui riprodotte:
Nel 1936 andò via dall’Accademia Navale e fu promosso Ufficiale.
Nel 1937 si imbarcò sul “Trieste”.
Nel 1938 Mussolini dall’incrociatore “Trieste” saluta e riceve il saluto dei “Ventimila Coloni” in viaggio per la Libia .
(Foto degli onori ai coloni: Mussolini, Terruzzi Ministro dell’Africa, L’ammiraglio di
squadra del Trieste e l’aiutante di bandiera)
(2° a dx Giovanni Jacopino)
Nel marzo 1939 s’imbarcò sul “Pola” che unitamente al “Fiume” “Gorizia” e “Zara” dal 7 al 9 aprile 1939 accompagnava a Durazzo le compagnie da sbarco che sostennero gli scontri con la resistenza albanese.
Nella seconda guerra mondiale il 09 luglio 1940, si trovava imbarcato sul “Pola” e partecipò alla battaglia di Punta Stilo.
(9.7.1940 battaglia di punta Stilo foto dal vero)
La flotta inglese (Mediterranean Squadron) agli ordini di Sir Andrei Cunningham, li intercettò all’altezza di Punta Stilo. La battaglia avvenne tra due corazzate italiane di tipo rimodernato (appoggiate tuttavia da numerosi incrociatori e cacciatorpediniere) e tre corazzate inglesi armate più pesantemente, con l’appoggio di una portaerei e di altro naviglio. Anche l’aviazione italiana ebbe modo di intervenire a più riprese ma la sua azione non fu affatto efficace. Lo scontro, che provocò qualche danno a due nostre unità (soprattutto alla Giulio Cesare), fu ben presto interrotto con lo sganciamento da parte italiana”. G.Jacopino, il 27 novembre 1940 partecipò alla battaglia di Capo Teulada.
(Foto con dedica dell’Ammiraglio Paladini)
Il 14 dicembre 1940 a Napoli il “Pola” venne colpito da due bombe che provocarono 15 morti e 33 feriti. Il “Pola” per i danni subiti venne immesso in bacino ove vi rimase fino a Febbraio 1941.
Il 28 Marzo 1941 partecipò allo scontro di Gaudo. Successivamente a causa di attacco di aerosiluranti venne colpita la corazzata “Vittorio Veneto”. In successivo attacco il “Pola” in formazione di protezione della Vittorio Veneto venne colpito e immobilizzato. Tale evento causò la battaglia “agguato” di Matapan con l’affondamento dello “Zara, Fiume, Alfieri, Carducci e dello stesso Pola” con la pesante perdita di 2.331 uomini.
Giovanni Jacopino, fu uno dei 257 superstiti del “Pola”, molti dei quali feriti, che vennero salvati e fatti prigionieri dal C.T. Jervis che il 31 marzo li portò ad Alessandria d’Egitto ove fu loro reso l’onore delle armi. Li fu ricoverato in Ospedale per ustioni ai piedi che si era procurato, dopo il siluramento, nel prestare aiuto al Capo macchinista Esposito, in seguito deceduto in Ospedale per le gravi ustioni riportate.
Jacopino Giovanni dall’Egitto fu portato in Australia da dove rimpatriò nell’aprile del 1943 nello scambio di prigionieri per malattia.
(Primo giorno di rientro a casa dalla prigionia)
In queste foto vediamo G. Jacopino e Teresa Dattola in scene di vita familiare, durante le vacanze a Melito, nel tanto amato terreno di Agliastro.
G. Jacopino fu insignito di medaglia d’oro Mauriziana, consegna avvenuta a Messina dopo la sua morte alla vedova Teresa Dattola il 4 dicembre 1957. (Santa Barbara) dall’Ammiraglio Giorgio Ghè che era stato suo allievo all’Accademia Navale.
A Lui è stata dedicata una piazza (Largo Jacopino) nel Comune di Melito P.S.
G. Jacopino aveva particolare verve poetica:
“QUESTA CITTA’ PICCOLA MA FORTE
HA GIA’ DUE MONUMENTI ALLE SUE PORTE
IL CINEMA “MIO SOGNO”
E LA FONTANA,
QUESTA CHE NON MENA ACQUA
IL CONTE CHE NON SOGNA
INSOMMA RECLAMARE ANCOR BISOGNA.
PER CAUSA DI ST’OCCHIO IO DIVENTAI MANCINO, UNA VOLTA
ERO TELL ORA SONO JACOPINO, IL NOME DI GUGLIELMO ORMAI
E’TRAMONTATO, SE NON COLPISCO A VOLO SPARERO’ POSATO.
FIGLI: ITALO JACOPINO, nato a Messina nel 1926, medico USSL, agopunturista, vive a Roma, era coniugato con Eleonora Buono laureata in farmacia, professoressa, nata nel 1930 morta nel 1998.
(Matrimonio Italo Jacopino celebrato da Mons. Romeo) (Dr. Italo Jacopino)
Ha una figlia Marta Isabel, studentessa.
(Marta Jsabel Jacopino)
SILVIO JACOPINO, Nato a Messina nel 1928, perito chimico industriale, progettista petrolifero e chimico, pittore.
(Silvio Jacopino)
Alcuni quadri di Silvio inerente il padre la madre e la zia Maria.
(Quadri eseguiti da Silvio Jacopino)
GIUSEPPE DATTOLA (Figlio di Bruno Dattola e Giovanna Orlando).
(Giuseppe Dattola)
nato a Melito P.S. nel 1869, morto nel 1942. Possidente, commerciante, uomo di forte carattere, era un accanito cacciatore e proprietario di un negozio armeria in via XIX agosto, punto di riferimento per tutti i cacciatori della zona.
Nella foto Pino e Daniele Dattola davanti il negozio-emporio in via XIX agosto prima di proprietà di Giuseppe Dattola. poi di Edmondo Dattola.
Ad un certo punto della sua vita e precisamente cosi come risulta dalla data d’imbarco, nel 1903 Giuseppe Dattola emigrò per lavoro alla ricerca di più facili guadagni in Argentina, per ben due volte, la seconda volta nel 1913 in uno dei viaggi portò con se il figlio Bruno Antonio, di circa 17 anni.
(3° da Sin. Giuseppe Dattola, nella foto accanto a DX Giuseppe Dattola con paglietta e pipa)
(G. Dattola con i figli Bruno Antonio e Filomena)
Coniugato con Pennestrì Domenica, casalinga, nata a Reggio Cal nel1875, figlia di Gabriele e di Scalfuri Florinda . Donna molto religiosa, colta e benefattrice.
(Domenica Pennestri)
Giuseppe Dattola viveva in via XIX agosto questa era la via principale del paese, i tre figli: Bruno, Filomena ed Edmondo nacquero e vissero la loro giovinezza in questa strada. Pennestrì Domenica (detta a ‘ntichina ) era donna religiosa, generosa, viveva separata dal marito Giuseppe Dattola in casa della sorella Filomena Pennestrì coniugata con Antonio Spinella.
(Filomena Pennestri)
Antonio Spinella qui nella foto in alto era nato nel 1849 ed è morto nel 1936.
La casa , dove la nonna Pennestri Domenica viveva, separata dal marito, con i suoi figli, e dove noi (Giuseppe, Daniele e Antonello) siamo nati ed abbiamo vissuto fino al 1960 (data in cui mio padre costruì una casa in via XXV aprile), costruita su tre piani, è ben visibile in una fotografia del tempo, dove si vedono chiaramente le mercanzie appese su una parete, in quanto lo Spinella, uomo di grande bontà, era commerciante, proprietario del negozio e di un agrumeto in località Pallica che ebbe in eredità Edmondo.
A fianco di questa vi era la casa dei Principato e subito dopo un altro negozio emporio, con armeria di proprietà di Giuseppe Dattola. Nella foto sulla strada ancora in terra battuta, di fronte al negozio di Spinella vi sono delle donne sedute che appartengono alla famiglia Spinella –Pennestri.
La casa costruita su tre piani, di cui uno seminterrato, si affacciava a Nord sulla via XIX agosto e a Sud su una stradina in discesa. Dopo il terremoto del 1908 subì al piano superiore una lesione, che intaccandone la stabilità costrinse alla demolizione ed alla costruzione di una mansarda ricoperta con tegole, la casa è tutt’oggi esistente e ben conservata.
Qui vediamo in questo quadro ad olio su masonite della dimensione di 35,5 x 48 uno scorcio della via XIX agosto, lato est, dipinto da Silvio Jacopino nel 1954 con la casa cosi come si presentava con il piano demolito e un colore celestino, non è visibile il tetto spiovente con la mansarda , cosi come si presenta nella realtà. Questo unico esemplare lo ebbi in regalo da Silvio Jacopino nell’anno 2002.
Con grande rispetto ricordo i periodi felici vissuti in quella casa con i miei fratelli Giuseppe e Antonello , è giusto che io dedichi un pensiero alla bellezza del tempo che fu, in quella casa di proprietà dello zio Antonio Spinella, nacque e visse mio padre Edmondo Dattola e i suoi fratelli Bruno Antonio e Filomena e dopo di loro noi. La sorgente ideale di questo lavoro insorse alla luce in quella biblica casa. E ricordo ancora mio zio Antonio Bruno Dattola parlare di quei tempi e di quella casa e del suo antico padrone, tutti i fratelli osannavano lo zio Spinella e la di lui moglie, lui diceva: “ ancora sento, il timbro forte, della voce di mio zio risuonarmi nelle orecchie di bambino appena ragazzo”, e continuava a raccontare: “La nostra abitazione sorge a metà della precoce e ancor informe strada della via XIX° Agosto; la via più bene, inserita a metà tra l’inizio e la fine della strada. La casa è posta al centro del grande abitato, domina il dolce olezzante degradare fino alla cerula spiaggia invisibile. Intorno alle case, una splendida distesa di bergamotti, contornati da secolari gelsi, costellati dalle più belle piante fruttifere. Una enorme distesa, pullulante di forze, lussureggiante di umori, ricchissima di fragranze. Frutti stretti gonfi fervidi freschissimi; il cui fogliame sempre vivo perenne, ha le scintillanti energie della vita e la forza stessa della terra. Regna sovrano in queste terre il bergamotto e in mezzo ad esso accenni dei persichi, del fuoco dei melograni, del verdore dei cotogni, del tenue sensuale dei fichi. E’ una selva splendidissima.
Su questi eterei ripiani brilla la nostra dimora, a mezza strada dal margine più appariscente del viale d’Agosto e a due righe di casette scoscese che menano al verde. E’ bella e luminosa, se pur semplice e modesta dell’intima modestia di quel tempo, con una esposizione mirabile e rapitrice, domina essa l’aria a non più d’un 800 mt. dalla spuma del mare, è degna di un poema. D’avanti poi, la sua mistica prestanza: alti i due balconi sul caro declivio abitato a sera si staglia l’arcano emisfero di Settentrione e delle sue costellazioni boreali misteriose e segrete, ferma lo scoscendere del paese al mare; mentre d’abbasso, la loggia – che in realtà è un grande ed aereo balcone- in cima ai poggioli inferiori: uno dei quali, il più antico, dà aria e luce agli spazi del retrobottega incantato, balena limpida alla magnifica immensità dell’austro.
Questa dimora era presieduta, (quando siamo nati noi lo zio Spinella e il nonno Giuseppe Dattola erano già morti) cosi come vi ho sempre detto, da un uomo un puro spirito evangelico: mio zio Don Antonio Spinella, melitese, e al suo fianco D. Filomena Pennestri di Reggio, sorella maggiore di mia madre Domenica; ch’essi avevano assunto fin dalla tenera età di cinque anni, allorquando la genitrice delle due donne era mancata anzitempo in quella città, poco più che quarantenne.
La tradizione, l’educazione, il sentire di questa casa era assolutamente e compiutamente cristiano e cattolico; pur balenando nelle anime di tutti i suoi componenti echi di voci ancestrali: per lo zio, forse, una lontana provenienza geniale dalla Spagna (dico forse: se non italica e bizantina); per la zia e rispettiva sorella minore, campana o napoletana, assonanze lievemente presenti come controluce nel loro essere. E in questa fede, il loro spirito era ardentemente teso alla sublimazione di quella Humanitas che aveva quale alba storica, l’aristocrazia redentiva dell’io. Su questo sfondo gli individui e i loro concetti. In quel tempo il paese di Melito era incipiente, e risorgeva con un nuovo volto, sulle antiche riconquistate rovine degli avi; e questa nostra famiglia era venuta qui a erigere il suo timido nido, su questo estremo lembo affondato nell’Jonio silente, commettendo tutto il loro avvenire alla missione e alla preghiera. Cristo Gesù appariva sovente ad assiderarsi alla nostra mensa a favellare con noi. Non è figura retorica questa che io ho pronunciato sul salvatore Gesù: perché noi “sentivamo” realmente e veramente la di lui presenza redenzionale fra noi. Anche lo zio era rimasto presto, troppo presto, orfano; e ancora in fasce era stato allattato e, allevato da una sorella più grande. Le analoghe perdite care, nei rami confluenti dell’unica famiglia, avevano casualmente generato in tutti quel substrato di melanconico smarrimento che affiorava tenue e in un barlume in ogni loro atto. Campeggiava da lontano una raggiera di bianche case che si specchiavano luminose sulla veemente inesauribile densità olezzante del lucido verde. E se di sopra s’intravedeva l’erompente discendere di Melito, a Mezzogiorno, lo sguardo spaziando per l’infinito orizzonte australe, i cui estremi confini laterali sfumano dall’Amendolea a Saline ed oltre, irraggia tra i due termini fascinosi, s’affonda perdendosi in distanze di sogno. E’ una visione divina; sbalzata nei limiti del risalente est all’azzurro periplo dello Stretto, che divergendo bruscamente celebra nel cielo di Libeccio, splendida di ghiacci e di olimpici sfondi, l’Etna immortale e scintillante. Insorge da quel valico turchino, trasparendo la sagoma del Santuario di Nostra Signora del mare e come estrusa da esso, s’innalza glauca e lontana la cupola della Madonna di Porto Salvo. Ma sommersa nel cupo vigore dei bergamotti e come conchiusa da quella apparizione, riluce a meno di metà strada, sulla primitiva circolare soprastruttura arcaica, l’esile croce dell’antica chiesetta della Concessa; poi che al fiore del sale e alla foce presumibile di quel cerulo rio, aveva accolto tutti i raggi dell’aurora l’abside avocativa e inconsistente della Patrona di Melito, l’ondivaga peregrina che approdando a questo estremo lido a presidio e tutela dalle insidie venenti dal Largo, aveva conquistato tutti i cuori dei marinai.
L’Alba tingeva nel cielo le dita di rosa, e in quel ritorno alla vita, tra l’ieratico inno antelucano dei galli, le mille voci dell’aurora, lo spiro degli affluvi, il pispigliare dei passeri grondai, il luminoso garrire delle rondini ecco che s’udiva il carme in cui a quell’ora si esaltavano tutte le bellezze del rifiorente prodigio, era il canto mattutino dello zio, le cui note s’impadronivano impercettibilmente del mio spirito involandolo in un nuvola di sogni…Egli scendeva puntualmente in bottega che ancora l’alba era lontana, e dopo avere fatto la quotidiana pulizia, si poneva per prima ad approntare quegli inobliabili involtini di carta per lo zucchero e il caffè. Allora il di lui timbro s’innalzava squillante e soave come una peana d’angeli, volava fino a me come l’essenza stessa dell’aurora, la grazia annunciatrice del supremo ritorno del sole. Ancora mi sembra d’avvertire la sua voce freschissima e pura. Aveva una splendida dizione la sua favella, calda e mite come quella di un apostolo, da cui irraggiava chiarissima la bontà originaria dell’anima; e una non meno bella persona, forse appena più alta del normale, robusta e muscolosa, nondimeno gentile, ma rotta a tutte le fatiche della sua instancabile laboriosità. Là dietro l’industre bancato, col suo volto di un bruno dorato ma classico e puro, la canzone si svelava dalla sua bella bocca, sormontante un lieve meschino ottocentesco, con accenti indefinibili, penombre di un sogno, evocanti visioni e reminiscenze ineffabili, nel ridestarsi del borgo conchiuso e delle sue prime voci e assonanze. E il suo ritmo era chiaro e
trasparente come la rossa aura in fiore carezzante tutte le cose. Egli cantava in italiano e sovente in dialetto: in quel modo antico di canto ancestrale, nostalgico,
La mattina il Paese era fervente di vita e festevole di richiami. Le domestiche al piano di sopra, sedute e gaie, rassettavano intonando motivi spontanei e leggeri come la loro fresca adolescenza. Ancora vagano nell’aria del mattino le loro espressioni ilari e giulive. La mattina si scendeva sotto, come prima colazione ci attendeva una fumante tazza di caffè e quel pane nero di grano di una volta, cosi naturale e squisito, (comprato nel vicino forno posto al di sotto della nostra casa non appena la mattina si sentiva il profumo particolare di cotto che ancora oggi riesco a sentire e ricordare), tagliato per giunta dalle apostoliche mani dello zio ( con quella infinita pazienza e bontà in cui ci creammo e ch’egli irraggiava inesausto) a dadetti, che lo rendevano più appetitoso e gradito. Noi anche mio fratello e sorella, non gli eravamo niente; solo la zia Filomena era sangue nostro, ma lui fu per noi il padre più santo e affettuoso che mai destino abbia assegnato a fanciulli dalla sola madre vicina.
Sopra nel frattempo la zia Filomena (la mamma Domenica si alzava più presto per andare anche lei a bottega) approntava tutte le cure che abbisognano a bimbi, avvezzati con signorile dovizia; e la sua avvenente e alta figura: nella quale parlava il bel sangue dei suoi antenati, era un esempio di umana bellezza e nobiltà pei nostri estetismi nascenti. Come ho già detto il suo avo materno era stato napoletano, e dalla di lui breve e tormentata esistenza aveva affidato ai suoi eredi una tradizione occulta di dolore e di grandezza famigliare; rimasta presto un puro sogno e nulla più, tranne la sua remota malinconia. Anche la mamma era bellissima; e i primi modi le prime forme, tutt’ora vigenti e operanti, di finezza e cortesia italica (lungo i primi spauriti e mal sopportati vocaboli e modi toscani: la cui grazia avvincente non cercava che espressione), li aveva coraggiosamente rivelati Lei, e trasfusi nel linguaggio comune. Tutto il borgo ci amava e ammirava: molti clienti devoti ed affezionati ambivano la nostra parola: racconti gravi di anziani, favole soavi di donne antiche, aliti di lontananze accarezzavano l’udito arrecando alla storia la fragranza della leggenda.
Il giorno s’era alzato con grazia angelica nell’arco del sole, l’aria pura era tersa come un cristallo, il mare aveva brividi d’infinito, quando lo zio ultimato il lavoro della bottega, che ora avveniva a momenti di quiete, si apprestava a scendere di sotto nell’interrato posteriore dell’edificio, dov’era il deposito delle più belle ricchezze materiali e morali del nostro passato; e dove lo attendevano, nella sua infaticabile sensibilità di artefice, con cento altre cure tutte belle e armoniose,, il rigovernare delle ingenti giare di olio e la passata al cacio, opere che preludevano al ritorno pomeridiano al giardino dei bergamotti di Pallica: l’altra faccia del nostro reame. Ancora sento i vari aromi e il tonfo caratteristico del riversare, dai lucidi cafisi, cupo e mite dell’olio: mentre fuori scalpitando le mule e gli asini disperdevano la sulla o il fieno odoroso pel chiassuolo oblungo e netto.
Un olezzo casalingo e discreto intanto si mesceva a quella fatica, effondentesi dalla cucinetta pensile a sinistra del retrobottega e prospiciente dalle casupole ai verzieri e al mare. E intanto che la zia assisteva al negozio, l’uomo quando non era impedito dall’afflusso dei minuti fornitori, risaliva ad accudire lui il pranzo, con quella sapiente perizia che, ricordando i bei giorni adolescenti di Turchia lo rendeva ineguagliabile. Proprio in quel poetico ricetto, in quella pacifica bertesca, nella postrema guglia dell’ultimo castello romantico, si assommava tutta la più sacra poesia del santuario domestico; e i sentimenti più puri e spontanei: pietà, gentilezza, dolore, sogno in essa avevano la culla e il nido, e per essa assurgevano al cielo. Lo zio sorridente e pedagogo, ognora amabile e serafico, mi sopra vegliava e guidava sempre insieme ai miei fratelli. Non oblierò mai più quelle ore mistiche che rieternavano la pace angelica della Sacra Famiglia; una delle cui effige ci edificava fra le altre immagini dalle nostre bianche e linde pareti. Ma per tornare alla Zio, e alle sue multiformi doti, non c’era vivanda che sortisse dalle sue mani benedicenti, che non fosse crismata di grazia e santità. Sulla Sua alta “buffetta”, vendicante, di saldo legno di arancio-amaro, fra i piè della quale tante volte era stata posta la mia culla, si apprestavano pranzi, direttissimi quelli domenicali, semplici ed evangelici: i bei quadri rilucenti di agiografica trascendenza, al dorso dello scaffale dei cereali e delle passamanerie, in fronte alle pile dei sacchi di grano: primo quello del Sacro Cuore soavissimo e bello, che aveva già schiuso i miei occhi, sopra, sul grande origliere, al cielo dell’inconoscibile ci guardavano e ci proteggevano.
Melito in quei tempi non contava più di 3.000 abitanti, sembrava fosse un nido d’angeli un lembo di cielo.
La grande tarde si sarebbe innalzata tra breve cosi come tutti i giorni, luminosa e suadente; ed io insieme ai miei fratelli sarei corso avanti alla bella rua al giuoco fantastico ed ambito e lo zio ad un breve riposo d’artiere. Allora lo Zio ritornava ad sedersi all’abituale suo posto: nella piccola cucina, accanto al mistico focolare, contiguo alle bombole d’acqua, le spalle rivolte alla lignea finestrella e la Bibbia del Calmet, la settecentesca opera pergamenata entro la quale era il palpito del nostro cuore di credenti, fra le mani illibate e pure. L’uomo evangelizzava, e nella sua calda voce d’apostolo splendeva il fresco respiro del mare, il lontano fremito di tremule sponde non obliate, il sussurro di acque non mai eluse dal sangue che gli avevano trasmesso i suoi padri…….. La nostra casa era un tempio, il nostro soglio una cattedra. L’uomo parla; scorgo ancora splendere il suo volto nella luce raccolta della bottega, diradate le ombre da un gran lume azzurro e pendulo, con l’aria inconfondibile e rara degli uomini semplici nati per dire qualcosa, per recare un messaggio di luce ai loro simili.
La zia Filomena, donna direttissima, inobliabile, inesprimibile: colei che non potrò mai dimenticare, lo ascoltava sempre, interrompendo, a tratti le sue occupazioni, commossa e visiva….. e continuava il racconto mio padre sui tempi brutti quando prima il fratello Bruno Antonio fu portato dal padre in Argentina a Buenos Aires a lavorare aveva appena 15 anni e doveva servire 24 muratori che intonacavano a cottimo e dopo lui Edmondo, giovane ancora non occupato, causa la crisi del bergamotto dovette prendere le redini della famiglia e appena preso il posto al comune e grazie anche ai proventi del negozio appartenuto prima al padre, estinse un debito creato dalla madre (lui la definiva mani bucate, per il suo modo di essere dava tutto in beneficenza) che si era addirittura impegnata la casa. Riuscì ad appianare tutto e dopo ….arrivammo noi, quanti ricordi felici quante ore liete anche noi la ricordiamo sempre con grande affetto, quella casa, e le albe tinsero nel cielo le dita di rosa, e la vita continuò, i galli cantarono, i passeri pispigliarono, le rondini garrirono, le aurore fiorirono una dopo l’altra, ora c’eravamo noi…. ad ascoltare il canticchiare mattutino di mio padre che dopo la colazione si recava al lavoro al Comune, mentre mia madre, dopo avere fatto la quotidiana e mattiniera pulizia si recava al negozio, e la domestica continuava cantando a sistemare le cose e dopo andava in bottega per aiutarla. Quanti clienti….ognuno una storia…… Tutti i pomeriggi mio padre tornava nell’altra faccia del nostro reame, Pallica…….e così la vita continua….. quasi fosse un teatro, come per incanto nella stessa scena cambiano i personaggi. I racconti si tramandano… i sogni rimangono….. e il tempo scorre via inesorabilmente come il sogno d’un sogno che nel sogno non sia…. domani ci sarete voi.
BRUNO ANTONIO DATTOLA Figlio di Giuseppe Dattola e Pennestri Domenica, nato a Melito P.S. nel1897. Risulta dagli atti che dopo di lui i genitori Giuseppe e Domenica avevano avuto un altro figlio cui avevano dato nome Bruno, morto il 15 giugno 1902 a 2 anni circa. Bruno Antonio Dattola era coniugato con Maria Brambille , napoletana, da cui non ebbe figli.
(Bruno Antonio Dattola e Maria Brambille)
Bruno morì nel 1989 e sua moglie circa un anno dopo. Si laureò in pedagogia. Poeta, scrittore, studioso di storia. Era un uomo molto colto ed estroso, Insegnò nelle scuole elementari di Melito.
Fu nominato dagli Alleati Sindaco di San Giorgio a Cremano dopo lo sbarco a Salerno e la liberazione di Napoli . Famoso per gli studi che condusse su Pentedattilo e la Strage degli Alberti. Suoi lavori sono: raccolta di poesie “EFIMERA” del 1954; liriche “SOLITUDO” del 1971; sonetti “IL NATALE” del 1968; in tutti gli scritti Bruno Dattola usò lo pseudonimo di Massimo Algos e R. d’Elphberg. Fu un anticonformista, travagliato da forti contraddizioni politiche. Partecipò al film “Matrimonio all’Italiana” diretto da Vittorio de Sica con il quale aveva instaurato un rapporto di sincera amicizia.
FILOMENA DATTOLA: Figlia di Giuseppe Dattola e Domenica Pennestri.
Nata nel 1898 morta nel 1969.
Risulta battezzata nel 1899 alla presenza del padrino zio Antonio Spinella fu Paolo. Coniugata nel 1920 con Antonio Minicuci, funzionario nell’Ufficio imposte di Reggio Cal., fratello del dr. Pasquale Minicuci famoso pediatra operante nella città di Reggio Cal.,
qui nella foto di seguito:
(Filomena Dattola con daniele dattola)
Figli:
(Paolo) (Domenico) (Ernesta) (Giuseppe)
EDMONDO DATTOLA figlio di Giuseppe Dattola e Domenica Pennestri.
Nato a Melito P.S. nel 1909, fu battezzato a marzo alla presenza del padrino zio Antonio Spinella presso la chiesa dell’Immacolata di Melito P.S, fu funzionario amministrativo nel Comune di Melito P.S. .
La madre nel Dicembre del 1908, nel corso del 7° mese di gravidanza, fu seppellita per più giorni sotto le macerie del catastrofico terremoto di Reggio e Messina, assieme alla figlia Filomena e fu salvata dai marinai di una nave militare che si trovava presso il porto di Reggio.
(Edmondo Dattola)
(1930 durante un congedo militare)
Svolse il servizio di leva presso la Marina Militare, giunse alle armi il 28 gennaio 1929, al deposito CEMM di Taranto, qui fu promosso sotto capo l’l1 maggio 1931, sottufficiale specializzato puntatore mitragliere e fu collocato in congedo per fine ferma il 28 maggio 1931. Fu richiamato il 24 agosto 1939 e congedato a Brindisi il 25 settembre 1939. Fu richiamato alle armi il 10 giugno 1940 a causa dello scoppio della seconda Guerra mondiale ed inviato prima a Taranto e poi a Brindisi, seguì un corso di Cannoniere a Pola, in quanto facente parte di un corpo speciale, fu destinato a Siliqua in Sardegna, presso una polveriera della Marina Militare, dove svolse il servizio col grado di Maresciallo e quindi fu congedato col grado di maresciallo di 1° Classe in data 28 novembre 1943. Durante il servizio militare fu colpito, da febbre malarica, essendo la zona endemica per tale malattia e, date le cattive condizioni di salute, fu ricoverato presso l’Ospedale militare di Napoli e poi presso gli OORR di Reggio Cal. da dove fu congedato.
M/depo Taranto 28.1.29/27.5.31
M/depo Brindisi 24.8.39/25.11.39
M/depo Brindisi 11.06.40/19.8.40
C/do Scuole CREMM Pola 20.8.40/20.10.40
M/dist Cagliari 21.10.40/3.1.43
M/depo Messina 04.1.43/30.1.43
M/dist Napoli 01.2.43/8.5.43
M/dist Cagliari 09.5.43/5.11.43
Dist. Ars. Taranto 06.11.43/28.11.43 (congedato).
Fu assunto al Comune di Melito P.S.
Durante il servizio nel Comune di Melito, s’innamoro’ di Gina Denaro, una ragazza, abitante in via Roma, perseguendo con tenacia un sogno d’amore che la madre tentò agli inizi di ostacolare.
Si sposò con Gina a Pompei nel1942. Gina è nata a Melito P.S. nel 1921, era figlia di Cosimo Denaro e Maria Francesca Curatola. Cosimo Denaro era figlio di Giuseppe e Carmela Merenda; Maria Francesca Curatola era figlia di Giuliano e Margherita Perez.
Nel 1945 Edmondo e Gina ebbero il primo figlio Giuseppe, (qui
nella foto ad un anno).
Uomo colto, saggio, serio, lavoratore, Edmondo Dattola fu insignito di medaglia d’oro per l’attività svolta nel Comune di Melito P.S.
Alla morte del padre Giuseppe, Edmondo, impiegato al Comune di Melito, continuò a gestire con l’aiuto della moglie il negozio paterno in via XIX agosto, negozio di merceria varia che fu un punto di riferimento a Melito anche per i paesi limitrofi. Fu appassionato di letteratura e cinema e per tutta la vita ebbe l’hobby dell’agricoltura alla quale si dedicò con grande dedizione, coltivando un terreno lasciatogli dallo zio Antonio Spinella ed un altro che acquistò nelle vicinanze, terreni situati nella contrada Pallica di Melito. Tutte le ore libere dagli impegni del Comune li dedicava alla coltivazione dei bergamotti e degli ortaggi nei due giardini, la cui rendita gli permetteva di arrotondare lo stipendio del Comune. Con i risparmi del lavoro costruì una casa al centro di Melito, in via XXV aprile, per i tre figli, i piani superiori li realizzò vendendo la proprietà che aveva acquistato, in località Pallica. Il giardino dello zio Spinella che era di circa 1000 metri quadrati, fu dagli eredi attuali, ampliato e quindi migliorato, con l’acquisto di un terreno accanto, di proprietà del Sig. Zema Domenico. Edmondo fini di vivere nel 1988, la moglie Gina nel 2004.
FIGLI:
GIUSEPPE DATTOLA : Nato a Melito P.S. nel 1945,
(Pino e Daniele Dattola nel negozio del padre Edmondo)
Coniugato con Mariella Noce, professoressa, laureata in lettere moderne.
figli:
CHIARA, nata a R.C. nel 1979 e VALENTINA, nata a R.C. nel 1981.
Ingegnoso, ha sempre coltivato molti hobby tra cui la pesca subacquea,
collezionista di armi, la costruzione di barche (ne ha costruite due un cabinato a vela ed un gozzo in vetroresina) e di altri oggetti , colpisce in particolar modo la precisione e la bravura con la quale esegue la progettazione ed esecuzione di qualsiasi oggetto.
Primario di Chirurgia Generale presso il Presidio Ospedaliero di Melito P.S., ASL n. 11 di Reggio Calabria, Specializzato in Chirurgia Generale e Chirurgia dell’ Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva. E’ stato Direttore Sanitario dell’ASL n. 11 di Reggio Calabria.
DANIELE DATTOLA: Nato a Melito P.S. nel 1949. Dirigente Amministrativo Responsabile del Presidio Ospedaliero di Melito P.S. oggi in pensione
Daniele Dattola ha sempre coltivato molti hobby pesca subacquea, fossili, filatelia, numismatica, fotografia. Qui di seguito una serie di fotografie di Daniele piccolo, con i capelli lunghi e biondi.
Coniugato con Lucia Mangeruca, nata a Melito P.S. nel 1949, Assistente Sociale, responsabile dell’U.O. di Educazione alla Salute dell’ASL n. 11di Reggio Cal.. Si sono sposati a Melito P.S. nel 1981.
Figli:
LUIGIA nata a Reggio Calabria nel 1982; EDMONDO nata a Reggio Calabria nel 1985.
Luigia è laureanda iscritta alla facoltà di Giurisprudenza, mentre Edmondo è iscritto alla Facoltà di Economia Aziendale.
ANTONIO DATTOLA, nato a Melito P.S. nel 1957, medico, specializzato in Anestesia e Rianimazione e Chirurgia Generale. Dirigente medico di ruolo presso la Divisione di Chirurgia Generale del P.O. di Melito P.S., U.O. di Endoscopia Digestiva. Coniugato con Matilde Cavallari, Dirigente medico in servizio presso il Pronto Soccorso del P.O. di Melito P.S.,
figli: Adele, nata nel1991 Alessandro nato nel 1999
18.09.10 daniele dattola