Il Sito di Daniele Dattola

CONVERSAZIONE COL PROF. MOSINO SUL TEMA:”NOSSIDE LOCRESE, LA CAGNOLINA E IL SUFFISO FEMMINILE IN BOVESE”.

 

In data 7.3.12, alle ore 18.00, presso la libreria Culture di Reggio Calabria, a cura del circolo culturale “APODIAFAZZI”, per la difesa e valorizzazione della lingua e cultura greco-calabra,

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si è svolta una conversazione sul tema:”NOSSIDE LOCRESE, LA CAGNOLINA E IL SUFFISSO FEMMINILE IN BOVESE”. Sono intervenuti il Presidente del Circolo Dr. Carmelo Giuseppe Nucera

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e il Prof. Franco Mosino filelleno.

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Il Dr. Nucera dopo i ringraziamenti di rito, ha relazionato sulle iniziative dell’Apodiafazzi,

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e ha introdotto il Prof. Mosino,

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anche Mosino ha ringraziato tutti i presenti e in particolare il proprietario della libreria che ha ospitato l’iniziativa. Ha iniziato subito dicendo che parlare di Nosside non è facile,

NOSSIDE DA INTERNET                                                                                         (Nosside da internet)

 

se prima non si dice qualcosa su Locri, la storia di questa  colonia e dei pinakes. (Pinakes, al singolare Pinax in greco Πίνακες), sono dei quadretti votivi in uso principalmente nelle poleis di Rhegion e Locri Epizefiri). Per cui ha iniziato con una stranezza toponomastica, dicendo che gli abitanti e la città di Locri  venivano chiamati Locroi. I Locresi o Locroi erano una popolazione che abitava questo territorio,comprendeva tre rami originari ma il ramo attuale sono i locresi epizefiri,  abitatori di Locri. Ha accennato su un proverbio negativo per i locresi, e cioè i Patti Locresi che erano un concordato fasullo. Ha altresì mostrato a tutti, riferendosi ai pinakes, un volume dove c’erano rarissime fotografie di un deposito sacro dove i locresi sotterravano i pinakes, nel vallone della Mannella,

 

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qui Paolo Orsi, famoso archeologo, scoprì migliaia di Pinakes e qui furono trovati quelli di Nosside…

Immagine 002 MOD   CONTENITORI PINAKES_353x600 Immagine 003 MOD MURA DOVE SI CONSERVAVANO I PINAKES_800x575

 

chi era Nosside??? Nosside nacque in Magna Grecia, a Locri Epizefiri, e visse tra il IV ed il III sec. a.C., era una donna dell’aristocrazia locrese.

iNOSSIDE 3mages                                                                                        (Nosside da internet)

 

Le notizie su di lei sono scarse così come il numero delle poesie superstiti. Dalla loro lettura emerge evidente l’intenzione di Nosside di emulare Saffo, la più celebre poetessa greca, vissuta a Lesbo tra il VII ed il VI sec. a.C.

 

SAFFO 12                                                                                  (SAFFO da internet)

 

La poesia di Nosside è, come quella saffica, un inno alla vita e all’amore. Ci sono pervenuti gli epigrammi della poetessa Nosside, e notizie sulla sua vita, grazie al ritrovamento dell’antologia del siriaco Meleagro. Se così non fosse stato anche Nosside avrebbe avuto la stessa sorte toccata agli altri poeti locresi dei quali è giunto a noi solo il nome: Teano, Mnsea, Erasippo, Senocrate. Il gadarese Meleagro, filosofo cinico ed anche autore di epigrammi, vissuto tra la fine del secondo secolo e l’inizio del primo a.C., aveva avuto l’idea originale di raccogliere, in un’antologia, parte della produzione di tutti gli epigrammi greci, scegliendoli con un criterio preciso, e assegnando ad ognuno il nome di un fiore.

Intitolò “giaggioli” gli epigrammi di Nosside, che il tessalo Antipatro aveva collocato tra “le nove più grandi poetesse della Grecia”; e aveva aggiunto che quei fiori, a dispetto dei secoli già trascorsi, profumavano ancora, perché era stato Amore in persona a spalmare la cera sulle tavolette usate dalla poetessa per incidere i suoi carmi.

 

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Nosside fu famosa soprattutto per i suoi epigrammi amorosi. Nei suoi versi d’amore esaltò la potenza e l’assoluto dell’amore con una sicurezza degna proprio di Saffo, alla quale amava paragonarsi e alla quale è stato spesso accostata da quei critici che hanno voluto, erroneamente, vedere in lei similmente “un’etera”, ma i suoi versi sono più freddi e manierati e non si discostano dalla tradizione ellenistica, tuttavia è proprio come donna amorosa e poetessa d’amore che Nosside ha voluto essere tramandata alla memoria dei posteri.

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Il prof. Mosino ha mostrato a tutti un’importante collezione curata da Marcello Gigante dove è riportata una splendida collana di epigrammi, curata da parallelo 38 ed ora entriamo nel vivo degli epigrammi che uno alla volta sono stati illustrati dal Prof. Mosino:

(ANT. PALAT. LIBRO V – 170)

Nulla è più dolce d’amore; ed ogni altra gioia

viene dopo di lui: dalla bocca sputo anche il miele.

Così dice Nosside: e chi Cipride non amò,

non sa quali rose siano i fiori di lei.

Nosside afferma che l’unico significato della vita è nell’Amore; quanto la poetessa sostiene è così lapidario nella sua formulazione che sembra dettato apposta, in sintonia con l’originaria destinazione del genere epigrammatico, per essere scolpito nello spazio ristretto di una pietra. Osserva il Cazzaniga : “E’ un precetto, una affermazione etica, un preannuncio, un messaggio come spiritualmente ed artisticamente riferito ad un ‘qualcosa’”. Da qui l’ipotesi dello stesso studioso che il componimento “apparisse come premesso all’inizio del volumen delle liriche d’amore di Nosside” . Anche se suggestiva, l’ipotesi non pare accettabile; si direbbe piuttosto che è tratto distintivo dell’arte della poetessa cogliere con forza espressiva nel breve giro del “suo” epigramma, talvolta addirittura in un verso soltanto, come meglio diremo, un momento di vita, uno stato d’animo. Qui dichiara con efficacia incisiva il suo modo di sentire ; una dichiarazione che sollecita subito nell’animo del lettore il ricordo di Saffo – paradigmatico l’accenno alle rose – e Nosside forse vuoi già significare nel preambolo agli epigrammi la sua totale adesione al personaggio poetico e umano di altri tempi e di altra terra cui vuoi legare in eterno il proprio nome. Più apertamente Nosside lega il suo nome a quello della grande Saffo nell’epilogo del suo canzoniere.

 

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(Dr. Fortunato Quattrone)

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L’epigramma (VII 718) ha tutti i tratti caratteristici dell’epitimbio. La poetessa, chiusa nella sua tomba, apostrofa un navigante che veleggia diretto a Mitilene: “… riferisci che io fui cara alle Muse … nata da donna locrese … il mio nome è Nosside”. Risulta riprodotto, come si vede, lo schema canonico dell’epigramma funerario. Ma il componimento, uno del più belli della silloge, chiaro nella sua esterna cornice, ha sempre sollevato gravi difficoltà di interpretazione, insite nel fondo dei contenuti, specialmente perché, sempre più manomesso via via nel corso dei secoli, è giunto a noi sovraccarico di congetture diverse e contrastanti. Recentemente, due nostri studiosi sono riusciti a risolvere quasi tutte le incertezze esegetiche riconducendo il testo nell’alveo della sua originaria lezione. Eliminate le inutili incrostazioni specialmente dei primi due versi, produttive fra l’altro di assurde ipotesi (sarebbero state due le poetesse con lo stesso nome, una Nosside contemporanea di Saffo, un’altra recenziore) il senso corre ormai chiaro. Nosside, a chiusura del suo libro, avverte il bisogno di lasciare un documento della sua sconfinata ammirazione nei confronti della incomparabile personalità poetica di Saffo. L’ammirazione si stempera, nel breve giro di un distico, in un commosso saluto dove in filigrana sotto sotto è da leggere anche un giudizio acutissimo sulle singolari qualità poetiche della grande Saffo. Un saluto immaginariamente scolpito sulla pietra a ricordo di sé (anche Nosside fu amica delle Muse), ma specialmente a ricordo della maestra amata e sognata che qualche secolo prima aveva con diverso vigore fantastico esaltato nel suo canto immortale il medesimo ideale di vita: il primato di Amore su ogni altro bene. Ma Nosside non pretende – come a torto qualcuno ha interpretato – di proclamarsi uguale a Saffo; sa bene di non poter reggere al confronto. Avverte soltanto l’orgoglio della sua, quale che sia, dimensione di poetessa nell’ambito del genere epigrammatico. Altre cose sono le qualità della poesia: qui Saffo non ha rivali. Non risiedono infatti nelle qualità poetiche le tangenze che la poetessa di Locri avverte quando unisce il suo nome a quello di Saffo; il punto d’incontro che Nosside sente nel profondo di sé risiede, semmai, nella sua condizione esistenziale vissuta a Locri sul ritmo di momenti e aspetti di vita in qualche modo affini a quelli di Saffo.

 

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Dicevamo del giudizio sulla poesia di Saffo che traluce anche nel messaggio affidato al navigante. A Mitilene, dove è diretto, egli “potrà infiammarsi al fiore delle grazie poetiche di Saffo” . Una poesia che infiamma ed incanta: la singolarità del canto della grande poetessa è colta in un solo verso con sorprendente acutezza. Più tardi Plutarco, forse ricordando il pensiero di Nosside, scriverà: “Saffo dice parole veramente mescolate col fuoco e con le sue parole manifesta l’ardore del suo animo”; e ancora: “Non vedi quanta grazia hanno i carmi di Saffo che incantano e ammaliano gli uditori?” . Plutarco s’attarda a descrivere minuziosamente (e ricorrendo anche ad una immagine grottesca: il paragone con Caco che getta fuoco dalla bocca!) quanto invece Nosside con singolare forza espressiva riesce a disegnare in un verso soltanto. Disegnare infatti (non descrivere) nel breve giro di due distici (una misura ereditata da Anite?) e, talvolta, in un solo verso (le armi che stanno nei templi a cantare la gloria del Locresi, la poesia di Saffo che infiamma …) un momento di vita, uno stato d’animo, l’intima essenza di una situazione, la spiritualità di una figura, questo è forse l’aspetto più indicativo della personalità artistica di Nosside

 

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Nosside nel gruppo degli epigrammi votivi (tutti composti per donne, ad eccezione di VI 132) evoca l’immagine di un vivere aristocratico ed elegante trascorso nella cerchia di poche amiche fra oggetti raffinati, ricami, ornamenti, profumi. Il velo di bisso tessuto da madre e figlia ed offerto ad Era Lacinia, l’indumento artisticamente ricamato, donato da Sàmita ad Afrodite, tolto alla propria chioma e che profuma dello stesso unguento adoperato dalla dea per aspergere Adone (VI 275), la statuetta di legno rifinita in oro, raffigurante Afrodite, che l’etera Poliarchide donò appunto alla dea (IX 332), mandano fino a noi una eco soltanto – tenue e sfumata – dell’ambiente aristocratico di Locri dove la donna, sulla linea anche di tradizioni arcaiche di vita non ancora del tutto scomparse (il matriarcato di cui è cenno al verso 4 di VI 265), si configura in una sua particolare dimensione umana e sociale. Di quattro di queste donne, amiche della poetessa, tutte dame dell’aristocrazia locrese (i nomi sono tutti aristocratici),

Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,

per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,

dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò.

Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!

 

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(Avv. Pellegrino)

 

Non poteva mancare all’evento un esperto di NOSSIDE e della sua poesia

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(il Prof. Amato).

 

I 12 EPIGRAMMI
L’opera superstite di Nosside
 
(ANT. PALAT. LIBRO V – 170)
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Nulla è più dolce d’amore; ed ogni altra gioia

viene dopo di lui: dalla bocca sputo anche il miele.

Così dice Nosside: e chi Cipride non amò,

non sa quali rose siano i fiori di lei.

(ANT. PALAT. LIBRO VI – 132)
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Via dalle grame spalle questi scudi gettarono i Bruzzi,
percossi nella mischia dai Locresi veloci alla lotta,
ora, deposti nel tempio, levan inni al valore di questi,
né rimpiangon le braccia dei vili, che lasciarono privi di sé.
(ANT. PALAT. LIBRO VI – 265)
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Èra santa, che spesso scendendo in terra dal cielo
visiti il tuo santuario Lacinio fragrante d’incensi,
accetta il peplo di bisso che Teòfili figlia di Clèoca
ha tessuto per te con Nosside, sua nobile figlia.
(ANT. PALAT. LIBRO VI – 273)
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Artemide, che regni su Delo e sull’amabile Ortigia,
riponi in grembo alle Cariti l’arco e le frecce intatte,
purifica il tuo corpo nelle acque dell’Inopo, e vieni
nella casa d’Alceti, a liberarla dalle difficili doglie.
(ANT. PALAT. LIBRO VI – 275)
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Con piacere avrà accolto Afrodite  l’amabile offerta
della piccola cuffia che avvolgeva il capo di Sàmita:
è, infatti, di fine fattura e odora lieve del nettare
con cui la dea asperge il bell’Adone.
(ANT. PALAT. LIBRO VI – 353)
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Ecco Melinna in persona! Vedi, il suo volto leggiadro
pare che a noi rivolga lo sguardo dolcemente soave.
Come davvero la figlia alla madre in tutto s’assembra.
Com’è bello che i figli assomiglino ai genitori!
(ANT. PALAT. LIBRO VI – 354)
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Anche da lontano appare riconoscibile l’effigie
di Sabétide, piena di forma e maestà.
Abbandonati a contemplarla: ti par di vedervi di lei
la saggezza e la dolcezza. Lode a te, mirabile donna!
(ANT. PALAT. LIBRO VII – 414)
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Passa accanto a me con riso squillante, e poi dimmi
una parola amica: io sono Rintone, quello di Siracusa,
un piccolo usignolo delle Muse; con i flìaci
tragici seppi cogliere un’edera diversa, e mia.
(ANT. PALAT. LIBRO VII – 718)
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Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,
per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,
dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò.
Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!
(ANT. PALAT. LIBRO IX – 332)
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Giunte nei pressi del tempio miriam d’Afrodite
questa statua, dalla veste tutta trapunta d’oro.
Ad offrirla fu Poliàrchide, che molti e lauti guadagni
seppe trarre dalla formosità del suo corpo.
(ANT. PALAT. LIBRO IX – 604)
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Il quadretto mostra la bella forma di Taumàreta: con arte
raffigurò la grazia altera della giovane dalle tenere ciglia.
La cagnolina di guardia alla casa scodinzolerebbe
al vederti, credendoti la sua padrona stessa.
(ANT. PALAT. LIBRO IX – 605)
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Nel tempio della bionda Afrodite Callò dedicò questo quadro,
dall’effigie in tutto simile, da lei fatta dipingere.
Che composto atteggiarsi! E quale grazia la pervade!
Salve! Nulla la vita potrebbe rinfacciarti.

 

 

Reggio Calabria, li 7.3.12

 

daniele dattola

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