Il Sito di Daniele Dattola

Bova Marina Prof. Daniele Castrizio e la Teoria sui Bronzi di Riace

Alcuni giorni fa su facebook ho riproposto una teoria non tanto pubblicizzata di Nik Spatari, noto artista mondiale fondatore del Museo MuSaBa,  pubblicata nel mio sito il 2 maggio 2014, che a tale proposito ha emanato un Comunicato dal titolo: Comunicato di Nik Spatari sui Primordi della Calabria e l’Identità dei Bronzi “Le arti offuscate dalle brutture greche ritornarono al suo splendore” (Vasari). Varie e variegate sono le teorie sulla origine dei Bronzi, mi pare giusto, in merito citarne alcune, (cito solo gli Autori senza entrare nello specifico di ognuna” Teoria di: Brinkmann; Castrizio; Vita; Dontas; Hollowai; Moreno; Paribeni; Ridgway; Rolley; Roma ; Stucchi etc. tutte teorie valide, ma di queste,  voglio qui sottolineare una, che mi ha particolarmente colpito, perché fondata su dati di fatto, che mi hanno convinto che forse tra tutte è la più tecnica e precisa quella del Prof. Daniele Castrizio docente all’Università di Messina.

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Ho ascoltato attentamente questa teoria durante un Convegno “ I Rize le Radici” tenuto a Bova Marina Domenica 24 aprile 2016, alle ore 16.30 presso il centro attività culturali e Studi  “Archeoderi” su invito del Direttore Dr. Franco Tuscano, nel convegno era presente il Consigliere metropolitano Pierpaolo Zavettieri.

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Durante tale evento il Prof. Castrizio parlò dei Bronzi e della sua teoria di cui accennerò dopo una breve premessa sulla storia degli stessi.

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Il 16 agosto 1972, in località Porto Forticchio, al largo della spiaggia di Riace Marina, ad opera di Stefano Mariottini, furono rinvenute le due statue poste a circa 300 mt. dalla costa e  8 mt. di profondità. Le statue furono recuperate il 21 agosto del 1973 dai carabinieri sommozzatori del nucleo messinese.

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tiratifuoridallaqua_800x589_thumb                                                                                              (foto da Internet)

I lavori di recupero delle statue dal materiale marino, (restauro delle incrostazioni) furono iniziati a Firenze il 16 gennaio 1975 e terminarono nel 1980. Le statue furono esposte a Firenze fino a Giugno 1981 e dopo riportate e assegnate al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Le statue vennero poste dopo intensi lavori di ristrutturazione, in un sotterraneo accanto alla sezione sottomarina, con vicino la bellissima testa del filosofo del relitto di Porticello. Il resto della storia la conosciamo benissimo, fino all’ultimo restauro avvenuto nei locali del Consiglio Regionale di Reggio Calabria e quindi la nuova sistemazione nel Museo come anzidetto. Come ho più volte accennato, nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, con la nuova gestione del Direttore Dr. G. Malacrino, le cose sono molto cambiate in meglio, in quanto è possibile entrare anche nei giorni festivi , fotografare i reperti , sostare, guardare ammirare etc. senza vincoli noiosissimi, voglio dire la gente sente più suo questo Museo e i reperti che si trovano in questo luogo.

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                                                                 (Bronzo A portatore di  elmo di tipo Corinzio)

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                                 ( Bronzo B,  con korinthie kynê (costituita da una cuffia, chiamata in greco kynê)

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Dicevo durante questo Convegno a Bova Marina ho ascoltato questa teoria fatta dal Prof. Castrizio  mi ha colpito e avvinto e che qui sinteticamente cerco di riproporvi.

Il prof. Castrizio  inizia citando un grande del Passato, Pitagora di Rhegion, il più grande scultore in bronzo dell’Occidente greco. La sua bravura derivò dalla scuola del suo maestro Clearco di Reggio. Produsse statue colossali in bronzo vedi lo Zeus Altissimo, nel tempio di Atena Calcioico a Sparta. Altre opere furono i bronzi raffiguranti le vittorie nei giochi panellenici degli atleti 480 e 448 a.C.. Pitagora fu il primo a riprodurre i tendini e le vene e il primo a trattare i capelli con migliore diligenza degli altri, suddividendoli con precisione.

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Dopo Castrizio entra nel merito dei segni specifici che si vedono nei bronzi, precisa che lo scultore ha realizzato la raffigurazione simbolica piuttosto che quella naturalistica, infatti nessun guerriero è mai andato in battaglia nudo e senza corazza, quindi ha rappresentato due eroi,  i cui elementi  restanti servono a dimostrare la loro definizione. In sostanza Castrizio dice  che:

il Bronzo A era portatore (attraverso i segni che si vedono nella testa di un elmo corinzio, portato rialzato sulla fronte, per far  vedere bene la faccia (altrimenti diversamente oscurato in volto), una lancia e uno scudo oplitico.

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Nel Bronzo B,  una korinthie kynê (costituita da una cuffia, chiamata in greco kynê, e da un elmo di tipo corinzio), una lancia e uno scudo oplitico.

Tutto questo dimostra che il Bronzo A è un guerriero, come mostrano l’elmo, lo scudo e la lancia;

il Bronzo B è un guerriero, per l’elmo, la lancia e lo scudo, ma era dotato di autorità militare, come dimostra la kynê, che era il segno caratteristico del comandante e del re. Tutti elementi compatibili con il periodo risalente al V° sec. a.C.

Infine il Prof. Castrizio dice che le due statue sono confrontabili con una scena con 5 personaggi raffigurati su vari reperti archeologici che rappresentano il mito del duello finale fratricida, tra Eteocle e Polinice, del grande poeta Stesicoro di Metauro, in cui Giocasta (La madre) tenta di dividere i due figli nel momento in cui essi  lottano uno contro l’altro affrontandosi.

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La scena (individuabile su un apprezzabile numero di sarcofagi attici, formelle in terracotta e urne cinerarie) mostra tutti i personaggi presenti : i due guerrieri si fronteggiano, mentre la vecchia madre, che ha scoperto i seni per ricordare a entrambi di essere fratelli e di avere succhiato il medesimo latte materno, tenta di frapporsi; alle spalle di Polinice si vede sua sorella Antigone; accanto a Eteocle si riconosce il vecchio Creonte, fratello di Giocasta e zio dei due uomini.

Ed ecco la Teoria che viene fuori con forza il Prof. Castrizio sostiene che

Gli studiosi hanno messo in relazione tale scena con un gruppo statuario celebre fino alla tarda antichità, di cui ci dà notizia il polemista cristiano Taziano l’Assiro, vissuto nel II secolo d.C. Lo scrittore, nella sua opera Oratio ad Graecos, (34, p. 35, 24 ss. Schw. = Overb. 501), composta dopo il 165 d.C. a Roma, dove Taziano viveva quale discepolo di San Giustino e membro della locale comunità cristiana, scrive: “Come non è difficile (credere) che teniate in onore il fratricidio, voi che, vedendo le figure di Polinice e di Eteocle, non le ponete in una fossa insieme al loro autore Pitagora, cancellando il ricordo di tale delitto!”.

Osservando i personaggi presenti nella scena, si nota come i due fratelli, Eteocle e Polinice, siano molto simili ai due Bronzi di Riace: infatti i due fratelli sono simmetrici come in un gioco di specchi con i bronzi. Presente anche la smorfia digrignante di Polinice che è la stessa di quella della statua A.

E dal sito www.bronzidiriace.it

 “Un’altra importante testimonianza del gruppo statuario dei Fratricidi di Pitagora reggino la ritroviamo nel poema epico chiamato “Tebaide”, opera di Publio Papinio Stazio edita nel 92 d.C. durante il governo dell’imperatore Domiziano. In essa, il poeta, dovendo descrivere la scena del duello tra i due fratelli, conoscendo bene il gruppo dei “Fratricidi” che si trovava esposto a Roma, forse sul Palatino nella dimora dell’Imperatore, fece ricorso alle statue note a tutti, utilizzandole come un “fermo immagine” di una tragedia rappresentata a teatro. Per raggiungere il suo scopo, a Stazio bastava immaginare i discorsi e fare muovere i suoi personaggi, fino al momento culminante raffigurato nel gruppo statuario. Ecco, quindi, che, all’approssimarsi del duello tra Eteocle e Polinice, la loro madre Giocasta, nell’intento di dividerli si presenta in scena. Essa viene così descritta dal poeta (XI, 315-320): “Ma appena le genitrice ebbe, fuori di sé, con terrore la notizia della sorte funesta, e non tardò a credervi, andava scompigliata nei capelli e nel volto, e nuda nel petto coperto di graffi, immemore di essere una donna e della sua dignità: quale la madre di Penteo saliva verso la cima del monte dell’insania, per recare al crudele Lieo la testa promessa”. La descrizione di Giocasta, come è evidente, ricalca quella della statua del gruppo di Pitagora Reggino. La nostra intuizione trova conforto anche in altri particolari del testo poetico, ma, soprattutto, viene confermata ai versi 396-399 del medesimo libro XI: “Così guardando in modo ostile il fratello; infatti brucia nel profondo del cuore per gli innumerevoli compagni, per l’elmo regale, per il cavallo coperto di porpora e per lo scudo che manda bagliori per il fulvo metallo…”. Richiamiamo l’attenzione su due particolari altrimenti non spiegabili, se non facendo ricorso al gruppo statuario dei “Fratricidi”: l’espressione ostile del volto, che è quello del Bronzo A (che mostra, minaccioso, i denti), e l’elmo del re, che non è attestato nell’uso romano, e che richiama in modo decisivo la kynê del Bronzo B. Essa rappresenta e materializza quel potere regale per ottenere il quale i due fratelli arrivarono alla guerra e non esitarono a uccidersi reciprocamente.

L’ultima questione relativa ai Bronzi è il loro rinvenimento a Porto Forticchio, nel Comune di Riace. Per risolvere questo enigma, occorrerà ripercorrere, sia pure velocemente, le tappe del gruppo statuario di Pitagora Reggino:

  • la terra di fusione rinvenuta all’interno delle statue attesta che le opere furono realizzate ad Argos, nel Peloponneso, dove Eteocle e Polinice venivano venerati come eroi;
  • durante la guerra contro Mitridate, re del Ponto, e poi ancora nel corso della guerra civile tra Mario e Silla, entrambe nella prima metà del I sec. a.C., Argos venne saccheggiata dai Romani, che portarono a Roma le opere d’arte più significative;
  • durante l’età di Augusto, lo scrittore Pausania il Periegeta non vide ad Argos il gruppo dei “Fratricidi”, che era evidentemente già a Roma;
  • nel 92 d.C. il poeta Stazio vide il gruppo a Roma e lo descrisse in modo puntuale nella “Tebaide”;
  • nella prima metà del II sec. d.C., il bronzo B venne sottoposto a un importante lavoro di restauro, che consistette anche del ripristino del braccio destro, previo calco dell’originale andato danneggiato, oltre che di altri aggiustamenti alle labbra;
  • verso il 165 d.C. il cristiano Taziano l’Assiro vide i Bronzi ancora a Roma.

Tra il 165 e il 1972 abbiamo il silenzio assoluto delle fonti, tranne che per il particolare della grossa parete di pithos tardoantica ancora posta tra la mano destra e la coscia del Bronzo A, che permette di ipotizzare un ultimo viaggio dei Bronzi, da Roma verso Costantinopoli, quando Costantino il grande, agli inizi del IV sec. d.C., trasferì nella nuova capitale dell’impero l’intera collezione imperiale di opere d’arte che si trovava a Roma, come testimonia il libro II dell’Antologia Palatina, dedicato alle statue del ginnasio di Zeuxippos, dove forse anche i Bronzi sarebbero stati esposti. Fu in questa occasione che la nave oneraria che li trasportava, fermatasi nel Porto di Kaulonia, oggi Porto Forticchio, venne investita da una mareggiata e andò a sbattere sulla diga foranea, disperdendo il suo carico”. Magnifica ricostruzione del Prof. Daniele Castrizio che assolutamente merita un plauso e molta attenzione, tantoche ha ricevuto una targa ricordo.

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Non posso che complimentarmi col Prof. Castrizio per la professionalità dimostrata e a Lui dedicargli questa foto

quale esperto dei Bronzi di Riace

Bronzi Castrizio buoni siglati

Guardate la Galleria fotografica

Bova Marina li 4.5.2017

daniele dattola

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