Questa valle si estende dal mare Jonio, sino al massiccio dell’Aspromonte. I paesaggi sono di una straordinaria bellezza, le visioni dalle cime più alte sono veramente suggestive e al centro, l’ampio corso della fiumara con le sue acque. Nella parte bassa gli agrumi e via via che si sale, nei pendii i fichi d’india e dopo la ginestra da cui si sono ricavati per intere generazioni i corredi. Nelle montagne i boschi di Castagno, di Pino, querce, il leccio, paradiso per i raccoglitori di funghi. I centri abitati disseminati un pò ovunque, posti alcuni nelle alture e quindi difficili da raggiungere, per ripararsi dagli invasori, sanno di grecità, integrati tra le rocce sono di notevole bellezza, così come i casolari sparsi un po’ qua e là. La zona grecanica merita di essere visitata. Gallicianò Roghudi etc. sono veri paesi ellenofoni, le origini sono molto antiche i primi abitatori (neolitico) furono tribù dell’Egitto Butani, Bink che parlavano una lingua simile al greco arcaico, rafforzati dopo dai Greci Calcidesi dell’VIII° sec. a.C.. La latinizzazione e dopo i vari trasferimenti delle popolazioni verso le coste hanno impoverito questa cultura che comunque è abbastanza viva a Gallicianò, oggi a difesa della lingua, cultura e tradizione vi è la continua opera di Enti e di Associazioni grecaniche.
La nostra terra jonia, toccata da varie civiltà: Egizia, Assira Ellenica, Romana e poi Bizantina, fu cantata solo da pochi Autori storici tra questi il più importante ed illustre fu il Barrio, solitario etnografo calabrese (1506-1577, nato a Francica -CZ-), sacerdote, autore del “Gabrielis Barrii, Francescani. De Antiquitate et situ Calabriae. 1571”). Venne considerato come storico lo Strabone, il Plinio, il Pausonia delle Calabrie. Tommaso Aceti commentò l’Opera “Delle antichità e dei Luoghi di Calabria”, dove si parla di Reggio e di altri luoghi notevoli vicino ad essa.
“Exin Alex fluvium labitur torentinis et anguillis ubber. Qui Locros, sit Strabo, à Regio disterminat. Qui per vallem profundam cursum habet. Peculiare quidam de cicadis obvenit; que….”.
E subito dopo (S. Lorenzo) scende il fiume Alece, ricco di trote e d’anguille (il cui corso) afferma Strabone, divide il confine tra Reggio e quello dei Locresi. Scorre per una valle profonda e al suo staglio, avviene un fenomeno singolare: le cicale che dal lato reggino non cantano, mentre dall’altro lato cantano.
Anche un altro esperto geografo calabrese P. f. Girolamo Marafioti da Polistena si è occupato del territorio di Reggio e in “Cronache e attività di Calabria, MDCI…per
l’autorità di Timeo, Siconio, e Plinio: e anche di Gabriello Barrio.. Anche lui come tutti gli storiografi ed etnografi non fecero altro che attingere notizie dai suindicati storici. Infatti egli trascrive:…”Cominciava anticamente il territorio reggino (e si capisce la fonte) dal fiume Metauro, e si stendeva infine nel fiume Alece, il quale scorre tra una abitazione detta Amendolia, e un’altra detta S. Lorenzo. Il particolare da notarsi in questo fiume, (e qui si rifà a tutti gli Autori già citati), è che il fenomeno, per occulto secreto di natura le cicale da un lato cantano dall’altro lato no. E continua: “Da qua del fiume Alece vi è un’abitazione detta S. Lorenzo, fabbricata accanto ad un fiume, in luogo alto,
ma il fiume dal nome della terra si dice fiume di S. Lorenzo, distante per ispatio di quattro miglia in circa dal fiume Alece.
(Alveo della Fiumara Amendolea)
Re Ferdinando, per sollevare gli animi dei suoi fedeli e le sorti della propria causa, mandò in Calabria, il suo figliolo Alfonso Duca di Calabria, che giovinetto appena di 14 anni, mostrava coraggio e vigoria superiore all’età. Il padre aveva affidato il figlio a due Signori della casa Sanseverino che lo guidavano nelle gesta. Pare lo accompagnasse in questa impresa il celebre Giovanni Gioviano Pontano suo Segretario. Del secondo viaggio di Alfonso e dell’espugnazione di Pentedattilo ne scrisse il Mandalari in “note e documenti di storie calabresi Caserta 1886” il quale scrive che: ”E’ certo che nell’anno 1489 Alfonso fu per la seconda volta in Pentedattilo, cosi dice Giovan Piero Leostello di Volterra “Die XXI februarii. In la Mandolia (Amendolea) bona hora surrexit et audita missa fece colazione et vide li cavalli de lo Barone et tucto quel dì fece faccende: Il 21 febbraio 1489 Alfonso soggiornò nel castello dell’Amendolea quale ospite di quel Feudatario, si alzò di buon’ora, ed ascoltata messa, fece colazione, e dopo ammirò i cavalli del barone, e tutto quel giorno sbrigò faccende, ma sul finire della giornata si trasferì nel castello di Pentedattilo.
L’Amendolea è uno dei Corsi d’acqua (torrente) più grande e importante della Provincia di Reggio Calabria. Il torrente nasce all’interno dell’Aspromonte, in località Materazzi ad una altezza di circa 1852 mt.
una via d’acqua che scorre lungo 31 km per sfociare nel mare Jonio vicino Condofuri Marina.
Un cantico di acqua che scorre lungo la vallata detta dell’Amendolea, dalle bellezze naturali e paesaggistiche uniche.
La fiumara inizia nei meravigliosi boschi dell’Aspromonte, è alimentata dal Corso del Menta, oggi sbarrato da una grandiosa diga, che è stata costruita per fornire acqua alla città di Reggio Calabria,
riceve anche le acque dei torrenti dei territori di Ghorio di Roghudi, Roghudi, Roccaforte del Greco, Africo, Bova e dopo più in basso le acque del Furria, del Pisciato, del Surva, dell’Armaconi e cosi via, scorrendo nella vallata dell’Amendolea
(Fiumara dell’Amendolea) (In alto il paese di Roghudi)
percorre i vicini centri di Chorio di Roghudi, Roghudi, Roccaforte del Greco, Condofuri, Gallicianò, Amendolea (vecchia e nuova), San Carlo, riversandosi nel mare Jonio nelle vicinanze di Condofuri Marina, tutti centri sviluppatosi nei millenni passati grazie alla fertilità di questa vallata. L’ambiente è di una bellezza avvincente, dall’alto la visione della fiumara lunghissima, alcune volte tortuosa, che si vede lungo tutto il suo percorso fino al mare.
(Il percorso dell’Amendolea fino a Mare)
Si dice che il fiume dell’Amendolea, nei tempi antichi era navigabile, ho scritto infatti di un antico centro Periplon, autonomo che batteva moneta propria. Si dice pure che questa navigabilità veniva sfruttata dai greci che trasportavano il legname di Pino, ricchissimo di preziosa resina, il leccio per costruire le navi da guerra. Il torrente nel passato è stato riportato negli scritti di Barrio, Strabone, Tucidide e di tanti altri autori col nome di “Alex” “Alece” Oggi si chiama “Torrente dell’Amendolea” per l’importanza che ebbe il villaggio dell’Amendolea nella storia di questa terra.
Lungo il suo percorso bellissime sono le cascate di Maisano, per raggiungerle basta arrivare alla diga del Menta, da Reggio Cal. o Melito di P.S., attraversarla, e scendere giù a valle, raggiunto il corso d’acqua, dopo una fontanella un po’ più su si trova un sentiero questo va percorso a piedi, naturalmente per chi si reca la prima volta è giusto che si faccia accompagnare da una guida o da una persona del luogo.
Si attraversano boschi di enorme bellezza, fino ad arrivare ai famosi tre salti dell’acqua, chi si vuole avventurare dopo una ripida discesa arriva al laghetto ai piedi della cascata, molti in estate usano fare il bagno,
ancora più giù un paio di chilometri le cascate di Linnha. Strabone descrive il fiume Alece (Alice), come copioso di trote e d’anguille, che divide Locri da Reggio. Esso scende per una valle profonda…… dista 4.000 passi dal mare, nelle vicinanze di esso vi è il paese di Amygdalia, un tempo detta “Peripoli”; costruita in un luogo elevato e per natura sufficientemente difeso; con lini, formaggi, e miele ottimo, ….In quell’agro vi sono i villaggi di Rigudum, Arocha, et Gallicum….”.
(Roghudi) (Roccaforte del Greco)
(Galliciano’)
Questa fiumara ha avuto un’importanza vitale per le popolazioni di tutta la vallata, nel passato vi erano molti mulini ad acqua che servivano a macinare tutte le granaglie prodotte dagli uomini. Le sue acque hanno irrigato per secoli vastissime estensioni di terreni coltivati, è comunque un torrente che merita rispetto, d’inverno è ricco di acqua che scende nei primi tratti precipitosamente per poi quasi adagiarsi lungo il largo percorso della vallata dove il letto della fiumara diventa molto più largo, è durante questo periodo che le sue acque possono diventare pericolose in quanto scendono a valle con violenza durante i periodi alluvionali, mentre come tutti i torrenti d’estate è quasi asciutto.
ROGHUDI (Righùdi), GHORIO DI ROGHUDI (Chorìo tu Richudìu)
Si può raggiungere Roghudi salendo da Melito P.S., fino a Roccaforte del Greco e dopo essere scesi per un lungo tratto si arriva in questo centro, continuando il percorso invece si raggiunge la frazione di Chorio di Roghudi. Oppure si può optare per un altro percorso Melito, Bova , e dopo aver raggiunto i Campi di Bova si scende sempre più giù fino ad arrivare alla meta. L’immagine del paese di Roghudi all’arrivo è notevole, esso è posto a circa 600 mt. sul livello del mare, su una lingua di terra che si insinua sul torrente Amendolea, come a guardarne la vallata. Sorge arroccato su una rupe ed è circondato da due corsi d’acqua.
Non si sa con esattezza l’origine di questo Centro ormai abbandonato, forse vi si stabilirono tra il X° e XI° sec., pastori alla ricerca di nuovi pascoli o forse si stanziarono in questi luoghi, popolazioni, messe in fuga dalle invasioni turche, che cercavano, rifugio in località interne, sicure perché non potevano essere raggiunte con facilità. Pare che all’inizio del paese e alla fine, quindi a nord e a sud di esso (uniche entrate), vi fossero due cancelli di ferro che venivano presidiati dai cittadini, per ripararsi dalle invasioni saracene. Nel 1084 appartiene al feudo di Bova e poi allo Stato di Amendolea, nel 1624 fu venduto dal casato dei Mendoza ai Ruffo di Scilla che lo mantennero fino al 1806. La popolazione, dati i luoghi impervi ha sempre praticato prevalentemente la pastorizia e l’agricoltura a livello familiare. Notevole il livello di autonomia raggiunto da queste genti e la capacità di trasformare i prodotti della natura in prodotti utili per la vita quotidiana. Essi avevano, abili artigiani, per la lavorazione del legno, e la creazione di tutti gli utensili. Con la ginestra creavano fibre tessili, ricavando da questa pianta, tessuti di particolare bellezza, con cui ottenevano abiti, tovaglie etc.. Tutti questi prodotti della pastorizia e della terra venivano scambiati commercialmente con i paesi costieri in cambio di generi di prima necessità e utensili che altrimenti non potevano reperire. In questi centri, così come accennato più volte si parlava una lingua greca arcaica, mista alla bizantina e alla moderna fino a quasi cinquant’anni fa detta grecanica, oggi questa lingua, purtroppo è in estinzione. Per quanto riguarda queste popolazioni va messo in evidenza così come per tutte le popolazioni grecaniche che trattasi di gente con un grande senso dell’ospitalità, laboriosa e umile, ma molto dignitosa e orgogliosa. Salendo verso i Campi di Bova di notevole bellezza sono due conformazioni rocciose (le pietre misteriose) Ta vrastarùcia (i caddareddi ) e I Ròcca tu Dràgu, (la Rocca del Drago),
(I Caddareddi)
(La Rocca del Drago) (Marino alla ricerca….della foto)
varie sono le tradizioni che si tramandano ancora oggi, tra gli abitanti della vecchia Roghudi, essi parlano di anaradi (metà uomini metà animali, nella parte superiore con sembianze femminili, di sotto con i piedi di mula o asina), La gente aveva paura di uscire di notte per non incontrarli. draghi, folletti, fate etc. La leggenda ha tramandato che in località Travoro è stato nascosto e sepolto un grande tesoro, il Tesoro del Drago, che si poteva trovare solo sognandolo. Tra le rocce rotonde dei “Caddareddi” mangiava il drago. Tutti questi racconti grecanici facenti parte della tradizione popolare servivano a fare capire specie alle donne e ai bambini di stare attenti ai pericoli. Ma lasciamo questo discorso fantastico. Dagli anni 50 in poi una serie di eventi climatici sfociati nell’alluvione del dicembre 1971, costrinse la popolazione a trasferirsi in massa a valle vicino al paese di Melito un esodo molto travagliato, per gli abitanti del luogo che avevano vissuto li per intere generazioni, ma il tempo inclemente non concesse alternative, il paese vecchio pareva si sgretolasse per la forza delle piogge. Oggi Roghudi nuovo, sorge nelle vicinanze di Melito P.S., ma rimane sempre nel cuore di ognuno l’amore per il vecchio centro, il legame con i monti si rinnova giornalmente. Certo questo vecchio centro è molto lontano dal mare e la strada per raggiungerlo è lunga e tortuosa ed ecco il sogno nel cassetto, dialogando con l’attuale Sindaco di Roghudi il dr. Zavettieri Agostino, medico specialista in Ostetricia presso il P.O. di Melito,
si discuteva, della possibilità di costruire una strada nuova accanto alla fiumara dell’Amendolea, per raggiungere, da Condofuri Marina, il vecchio Centro in pochi minuti. Egli in quell’occasione mi disse che questo si poteva fare consorziandosi con gli altri Sindaci della Valle dell’Amendolea e che questo era, se così lo vogliamo chiamare, un suo sogno, credo anche non solo suo…tutto ciò forse sarebbe stato un buon motivo per recuperare quella magnifica zona. Egli mi parlò anche di tutte le iniziative intraprese per recuperare il patrimonio paesaggistico ambientale dei vecchi centri di Roghudi e Chorio di Roghudi e per il recupero del patrimonio linguistico, parlandomi anche che stavano per arrivare i fondi per la ristrutturazione delle due vecchie chiese, e di due vecchie scuole a Chorio di Roghudi, capii in silenzio quanto amore ha questa gente verso il proprio paese natale. Appurai dopo che il Dr. Zavettieri aveva approvato col consiglio comunale l’adesione di Roghudi al PSA Progetto Strutturale associato con i comuni dell’area grecanica. (i cardìa-ma emine ecì!).
Frazione del Comune di Roghudi e Chorio di Rogudi un piccolo centro abbandonato anch’esso, qui vi è la tradizione artigiana della tessitura della ginestra, la lavorazione del legno, la pastorizia l’agricoltura.
ROCCAFORTE DEL GRECO, GHORIO DI ROCCAFORTE
E’ difficile indicare quando si stabilirono i primi abitatori in questo centro, inizialmente c’era un insediamento di pastori nomadi, né si può stabilire quando si stanziarono i Greci in questo territorio. Probabilmente c’erano insediamenti molto precedenti a cui si sono sovrapposti popolazioni più recenti. In questo periodo tra il IX° e XI Sec. Questo luogo ricadeva sotto la giurisdizione di Bova. Dopo divenne feudo dell’Amendolea e seguì la sua sorte. Dopo degli Amendola fu amministrato da i Malda de Cordova, gli Abenavoli del Franco, i Martirano, i De Mendoza, i Silva y Mendoza. Ultimi feudatari furono i Ruffo dal 1624 al 1806 (V. Amendolea), periodo in cui furono costituite le prime Università (embrioni dei Comuni), sotto il governo di Bova e nel 1811 divenne Comune con propria autonomia. Il Paese è posto a circa 930 mt. di altezza, in una posizione splendida che domina la vallata dell’Amendolea, poggiato su tre costoni rocciosi, nel passato veniva chiamato Vuni (monte, rocca), quando era possedimento dell’Amendolea fu chiamato la Rocca, e dal 1864 R.D. dell’08 maggio, Roccaforte del Greco. A ridosso del Comune, sorge il castello oggi diroccato a causa dei terribili terremoti del 1783 e del 1908. Tre sono i Rioni del paese , Rione del Castello, Rione Borgo, con la chiesa di S. Rocco e Rione San Carlo. Importante è l’industria boschiva e la pastorizia con i sui derivati. L’attuale Sindaco del Comune di Roccaforte è Ercole Nucera. Nelle vicinanze una sua frazione Ghorio di Roccaforte, che nel 1971 a causa dell’alluvione fu evacuato. Piccola frazione con caratteristiche agricole, importante sono i resti della chiesetta Tripepi dell’VIII° sec.e i ruderi di una vecchia torre di difesa.
CONDOFURI – GALLICIANO’
Posto a circa 600 mt. d’altezza, si affaccia sulla vallata dell’Amendolea, il cuore della cultura grecanica che forse ha resistito perché il paese è stato a lungo isolato, qui si conserva la lingua e le tradizioni. All’arrivo si ha l’impressione di un presepe. Nel passato si coltivava il baco da seta. Fiorente era la lavorazione del legno fatto da abili artigiani, da non trascurare le produzioni tessili che si creavano con la lavorazione della ginestra. Notevole il panorama delle montagne.
fu un centro, sorto per lo spostamento degli abitanti dell’Amedolea che durante le invasioni turche si collocarono lì per ripararsi. Il paese è stato sempre isolato senza strade per un lunghissimo periodo, questo ha favorito la conservazione del grecanico, oggi è una frazione di Condofuri, prima alla fine del 700 è stato Comune, può essere raggiunto percorrendo la strada che da Condofuri Marina conduce a Condofuri, è in posizione semicollinare, in un paesaggio che si presenta notevolmente interessante, continuando si può raggiungere il Monte Scafi. Pochi ormai sono gli abitanti di questa frazione, che mantengono tutte le tradizioni comprese le greche e la lingua grecanica. Interessante visitare i resti della “Chiesa dell’Assunta detta Greca”,
(la Chiesa Ortodossa e la chiesa di S. Giovan Battista)
Si dice che furono gli abitanti di Gallicianò che spostandosi formarono il paese di Condofuri.
CONDOFURI
Posto alle pendici del monte Scafi, si trova a circa 13 km dal mare. Il paese in greco era denominato Kontocori, nel 1811 divenne Comune e gli vennero assegnate le frazioni di Amendolea, Gallicianò, Condofuri Marina, San Carlo. Fino al 1806 fece parte della baronia di Amendolea. Il paese, ha come principale attività la pastorizia e l’agricoltura, subì una migrazione verso il mare, a causa della alluvioni degli anni 50, per cui gran parte degli abitanti si spostarono e fondarono un’ altra frazione a Condofuri Marina, ridente cittadina, ricca di lidi per la ricettività turistica, “il Boschetto, l’Isola che non c’è e tanti altri ancora. Sopra Condofuri Marina un’altra frazione, San Carlo, sorta a contatto con la fiumara dell’Amendolea, con al centro dell’antico abitato una torre a piramide confinante con il torrente.
Tutti questi centri hanno i servizi essenziali per il vivere comune poste, scuole, chiese, lidi che danno una eccellente offerta turistica, centri sociali etc. le FF.SS. Durante la guerra la stazione ferroviaria di Condofuri Marina subì un attacco aereo, molti furono i feriti che vennero ricoverati all’Ospedale di Melito. Sindaco attuale di Condofuri Filippo Lavalle.
AMENDOLEA (AMIDDALIA)
Il paese vecchio si trova ad una altezza di 350 mt. sul livello del mare, e distante da esso circa 5 km. Posto sulla cima di una roccia, è stato nel passato il centro più importante della vallata.
E’ collocato in altura sulla sinistra del fiume Alece, oggi torrente Amendolea. Il fiume nei tempi antichi, si dice fosse navigabile per un buon tratto e dopo c’era un guado, forse in corrispondenza di questo paese, che esisteva in epoca bizantina infatti sono state trovate monete del X° sec. nei pressi del castello. Forse fu avamposto Locrese. Il fiume segnava il confine tra i territori di Reggio e Locri. Nella parte alta della rocca vi sono i ruderi del castello e delle magnifiche chiese. Il paese prese il nome dai feudatari del castello gli Amendola, il cognome sicuramente deriva dalla mandorla. Non si sa esattamente quando ebbe origine il paese che era posto in posizione strategica tanto che tutti gli altri centri vicini erano fino al 1806 casali di Amendolea. L’attività principale di questo paese e dei suoi casali era l’agricoltura e la pastorizia. Il paese causa i terribili terremoti del 1783 e del 1908 fu molto danneggiato e quindi a causa dell’alluvione nel 1956 evacuato e abbandonato dagli abitanti che si stabilirono ai piedi della montagna dove in atto vi è la frazione di Amendolea. Accanto ai ruderi del paese, nella parte più alta, vi sono quelli del castello
e vicino al castello ci sono i ruderi di quattro chiese SS. Annunziata, Santa Caterina, S. Sebastiano, e S. Nicola. Testimonianza di un forte culto religioso che si aveva in questi centri. All’arrivo c’è una visione mozzafiato, sembra quasi un paese irreale, il silenzio e la bellezza del luogo è la cosa che colpisce di più. Della Chiesa di Santa Caterina (basiliana) ormai rimangono pochi ruderi, c’è da vedere la parte absidale e i muri perimetrali;
Chiesa di S. Sebastiano è del XII° Sec. Nella struttura si notano ancora degli affreschi dell’epoca, si vedono i muri perimetrali ed è rimasto per intero un campanile, molto bello che ha uno stile interessante;
(Chiesa della SS. Annunziata)
Molti fanno risalire questo Borgo al periodo Normanno altri al periodo Bizantino. Il castello presenta una torre spaccata a causa del terremoto, sicuramente fu in parte demolito,
è di dimensioni enormi, vi sono vari ambienti, due cisterne per la raccolta delle acque piovane,
una cappella, vi è un’abside con tracce di affreschi, il castello era merlato
e si capisce dalle dimensioni dei luoghi e da un enorme caminetto nella terza torre che aveva raggiunto una certa importanza,
questo castello subì vari adattamenti e varie ricostruzioni. Si presenta cinto da mura, di forma irregolare con finestre ad arco, con piccole torri, feritoie e merli e con una torre principale.
Oggi il paese nuovo è frazione del Comune di Condofuri. Proprietari del Feudo furono , nel 1270 gli Amendola, nel 1310 Petrus Protopapa Nicolaus de Amigdalia, nel 1495 le terre di S. Lorenzo e di Amendolea passarono agli Abenavoli del Franco. Nel 1624 il Duca di Bagnara Francesco Ruffo acquistò le terre di Amendolea e il castello. Tale privilegio durò fino al 1806 quando fini l’età feudale.
FEUDO RUFFO:
DON FRANCESCO RUFFO Don Francesco Ruffo (* Bagnara 31-5-1596 + 20-3-1643), 2° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea dal 16-4-1624 (comprata con Regio Assenso del 10-4-1624, con seconde cause, portulania e zecca). (ex 1°) ETC.
DON FRANCESCO RUFFO (Bagnara 18.4.1644/ivi 29.4.1715) Duca di Bagnara, Signore di Amendolea etc.
DON CARLO RUFFO (* Bagnara 29-9-1680 + ivi 28-2-1750), 5° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo etc.;
DON FRANCESCO RUFFO (* 1707 + 23-3-1767), 6° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo, etc.;
DON NICOLA RUFFO (* Bagnara 5-7-1742 + 19-3-1794), 7° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo Etc.;
DONNA IPPOLITA MARIA RUFFO(* Napoli 9-2-1758 + ivi 1-12-1830) 8° Duchessa di Bagnara, Signora di Amendolea, San Lorenzo fece una transazione con il cugino Vincenzo con atto del 18-3-1795 dopo lunga causa giudiziaria (i feudi della linea di Bagnara erano vincolati da un fidecommesso relativo alla prima investitura effettuata dall’Imperatore Carlo VI, e non riconosciuto da Ippolita Maria), lasciandogli facoltà di usare il titolo di Duca di Bagnara in cambio di un vitalizio annuo personale di 100.000 ducati e di 60.000 ducati per ciascuna delle sorelle; l’atto produsse però altre liti, che furono appianate con decisione della Corte d’Appello di Napoli a favore dei cugini Ruffo di Baranello (atto del 28-9-1814, istrumento del 5-6-1815); Dama della Real Corte di Napoli.
DON VINCENZO RUFFO (* Sant’Antimo 16-12-1734 + Napoli 8-2-1802), 9° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo e la Gabella di Catona dal 18-3-1795 in seguito a transazione con la cugina Ippolita. Etc.;
DON FRANCESCO RUFFO (* San Lucido 23-3-1779 + Napoli 13-2-1865), 10° Duca di Bagnara, Signore Amendolea, San Lorenzo etc. ;
DON VINCENZO RUFFO (* Cannitello 6-12-1801 + Castellammare di Stabia 13-8-1880), 11° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo etc.;
DON FABRIZIO RUFFO (* Napoli 10-4-1843 + Roma 2-7-1917), 12° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo, etc. ;
DON GIOACCHINO RUFFO (* Napoli 29-1-1879 + Castellammare di Stabia 12-5-1947), 13° Duca di Bagnara, Signore di San Lorenzo, Amendolea;
DON GIROLAMO RUFFO (* Catignano 9-2-1876 + Roma 19-8-1954), 14° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo, etc. ;
DON FRANCESCO RUFFO (* Napoli 23-6-1897 +probabilmente Roma ca. 1970), 15° Duca di Bagnara, Signore di Amendolea, San Lorenzo etc. .
DON FERDINANDO RUFFO (* Castellammare di Stabia 21-8-1898 + Napoli 24-12-1984), 16° Duca di Bagnara, Signore di San Lorenzo, Amendolea, etc..
Si ringrazia Nino Marino che ha collaborato al servizio fotografico e
Roberto Latella ex Presidente della Comunità Montana Versante Jonico Meridionale, per alcune notizie, sui luoghi.
04.12.2007
daniele dattola
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